STORIA DI UN HIKIKOMORI | Dalla “stanza della morte” al ritorno alla vita | MILANO | 18 FEBBRAIO 2020

Gli hikikomori sono adolescenti o adulti che si ritirano dalla società e ricercano estremi livelli di isolamento. “Hikikomori”, letteralmente “stare in disparte, isolarsi”, è un termine giapponese, e non è a caso. Le stime derivanti da una serie di sondaggi commissionati dal governo giapponese sono allarmanti: 541.000 giovani (tra i 15 e i 39 anni) e 613.000 adulti (tra i 40 e i 64 anni) sono diventati “reclusi sociali”.

Questa forma grave di ritiro sociale, ad oggi priva di una collocazione all’interno dei principali manuali diagnostici, può essere definita grazie ai criteri proposti nel 2010 da due importanti studiosi della materia, Alan Teo e Albert Gaw, basati sulle caratteristiche cliniche più ricorrenti:

  1. La persona trascorre gran parte della giornata e quasi ogni giorno confinata a casa.
  2. Evitamento marcato e persistente di situazioni sociali (es. frequentare la scuola, lavoro) e relazioni sociali (es. amicizie, contatti con i familiari).
  3. Il ritiro sociale e l’evitamento interferiscono in modo significativo con la normale routine della persona, il funzionamento lavorativo (o accademico), le attività sociali o le relazioni.
  4. La persona percepisce il ritiro come ego-sintonico.
  5. Negli individui di età inferiore ai 18 anni, la durata è di almeno 6 mesi.

La sindrome di “Hikikomori” è stata dunque concettualizzata come una condizione psico-sociale caratterizzata da un prolungato e grave ritiro sociale, che può protrarsi per anni.

A lungo ritenuta culture-bound, essa è divenuta negli anni una condizione sempre più diffusa a livello internazionale, con casi documentati in moltissimi Paesi europei tra cui l’Italia. Secondo le prime stime, sarebbero circa 50.000 i ragazzi italiani “ritirati in casa”, ma il fenomeno rappresenta la manifestazione più estrema di un malessere  che ricerca sollievo sempre più frequentemente all’interno del mondo virtuale.

È bene però chiarire come la nascita del fenomeno, avvenuta negli anni Ottanta, sia apparentemente slegata dallo sviluppo delle nuove tecnologie

Esiste quindi una differenza sostanziale tra hikikomori e dipendenza da Internet o da videogiochi, sebbene siano identificabili sovrapposizioni e influenze reciproche tra le due condizioni.
È innegabile, infatti, che il Web e i videogiochi rappresentano l’unica modalità possibile di contatto con il mondo esterno per l’hikikomori. Tuttavia, in questi casi, l'(ab)uso di internet spesso rappresenta una conseguenza e non una causa dell’isolamento, interpretabile come un fattore paradossalmente positivo che consente ai ragazzi di vicariare alla totale assenza di relazioni sociali “reali”.

I fattori coinvolti nella promozione e nel mantenimento di questo complesso quadro clinico sono molteplici e implicano fragilità personali e relazionali, oltre a pressioni sociali di vario grado, che la persona non si sente in grado di sostenere. Simone Matteo Russo, psicoterapeuta e psicosomatologo, responsabile dell’area educativa dell’Istituto di Psicosomatica integrata e direttore della sede regionale dell’Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche Gap e Cyberbullismo (Di.Te), ne approfondirà l’evoluzione clinica all’interno di una conferenza aperta ai soci dell’Associazione Italiana di Psicologia Psicosomatica, martedì 18 febbraio alle ore 20:45, presso SPACES ISOLA in via Pola 11.

Scopri di più

Il suo intervento sarà scandito dall’emozionante intervista video a Marco (nome di fantasia), hikikomori per molti anni, il quale ci guiderà in quella che lui stesso definisce la “stanza della morte”. racconterà come ha vissuto e di cosa ha sofferto, fino a condividere com’è riuscito a tornare alla vita offline.


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