Psicologia ospedaliera e umanizzazione delle cure

Percorsi trasformativi nel sistema sanitario

Quante volte ci capita di paragonare il nostro funzionamento a quello di una macchina o a quello di un computer? “Oggi non carburo bene”, “Sono in risparmio energetico”. Sono metafore utili che ci aiutano a spiegare come ci sentiamo. Ma allo stesso tempo sostengono la visione dell’uomo come una macchina composta da diversi ingranaggi.

Quando si parla di umanizzazione della cura, si intende la promozione di un’ottica tale per cui il paziente che si rivolge alla medicina non è solo un sistema, un ingranaggio, da riportare ad uno stato di equilibrio, ma un soggetto dotato mondi emotivi e relazionali vasti e di sensibilità uniche, che necessita di un ascolto e un accompagnamento accogliente ed empatico. 

È quindi sufficiente che il curante ascolti il racconto del problema o la storia della persona implicata? Per quanto l’esserci e l’accogliere siano componenti importanti, ridurre l’incontro con una soggettività sofferente all’ascolto è ancora una volta parziale. Con “umanizzazione” si può intendere più ampliamente il trasferimento del sentire di essere seguiti, sentire di essere presi in cura, l’accompagnare.

Spostiamo ora la prospettiva e lasciamo la parola a chi curante ha scelto di esserlo adottando uno sguardo includente. Quattro brevi storie, quattro percorsi, dove un approccio mirato all’essere umano, e non alla malattia, ha permesso una “diversa” direzione della cura all’interno del complesso sistema ospedaliero. Troveremo a seguire come la medicina può prendere in considerazione l’ambito psicosomatico, come un giovane paziente può essere accompagnato ad un intervento chirurgico e come poter prendere in carico non solo il paziente, ma la famiglia che lo circonda e lo supporta.

“È più importante conoscere il tipo di persona che ha una malattia, piuttosto che conoscere il tipo di malattia che ha una persona.”
Ippocrate

Il tema dell’umanizzazione delle cure ha, negli ultimi anni, coinvolto operatori sanitari e amministratori in un dibattito che, a volte, ha rischiato di scivolare più su un piano etico-morale e di dichiarazione d’intenti, piuttosto che operativo-assistenziale. Frequentemente si confonde l’umanizzazione solo con la buona educazione, oppure con la capacità di comunicare. A nostro parere è un processo culturale che abbraccia complessivamente vari aspetti della prestazione sanitaria e della organizzazione del sistema e li raccoglie in un unicum personalizzato che non è solo la sommatoria dei vari aspetti. 

Le esigenze e i bisogni dei pazienti travalicano i processi di cura stricto sensu per dare spazio ad una concezione che integri la relazione di cura con la relazione d’aiuto. Il Paziente non ha competenze per valutare se un intervento chirurgico è stato effettuato a regola d’arte, deve darlo necessariamente per scontato, tranne valutandone, ex post, gli effetti. Quello che rimane all’utente sono sensazioni e percezioni che fanno riferimento alle capacità empatiche degli operatori, alla disponibilità alla comunicazione chiara ed efficace, agli spazi adeguati, al linguaggio comprensibile, al tempo adeguato alle visite, alle informazioni sanitarie chiare, alla riduzione dei tempi d’attesa, alla capacità di ascolto, al comfort alberghiero, ecc…

Nell’ ultimo ventennio si è sviluppato un processo, tutt’ora in corso, che ha determinato, nel sistema sanità, il riconoscimento della valenza terapeutica della relazione promuovendo una cura della persona e non soltanto la cura della malattia.  In tale percorso è stata determinante la presenza degli Psicologi in ospedale che hanno proposto approcci e modalità diverse di relazione con i Pazienti, tendenti al rispetto della dignità umana attraverso un’ottica olistica dell’intervento terapeutico. 

In questa direzione si inserisce il volume dal titolo “La Psicologia Ospedaliera in Italia: sentieri narrativi della clinica” curato dagli Psicologi e Psicoterapeuti G. Giacalone e A. Domingo, edizione Màrgana.

Dopo una presentazione del Dr. David Lazzari, Presidente del CNOP (Ordine Nazionale degli Psicologi), e una riflessione del Dr. Filippo Anelli, Presidente Fnomceo (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri), la pubblicazione racconta alcune tra le più qualificate esperienze di Psicologia Ospedaliera che sono state realizzate in Italia (dall’ospedale San Giovanni Calibita Fatebenefratelli e alla Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS di Roma, all’ IRCCS Ospedale Pediatrico Giannina Gaslini – Genova, all‘Istituto Oncologico Veneto, IOV-IRCCS Padova e tanti altri). Nella seconda parte segue una raccolta di lavori a cura degli Psicologi della UOS Psicologia Ospedaliera della ASP di Trapani con alcuni aspetti innovativi nella gestione dei Pazienti in ospedale (dalla montagna terapia per Pazienti oncologici, all’uso della cannabis associato alla psicoterapia nella gestione del dolore).

Nello specifico il progetto editoriale pone l’accento sull’attività clinica portata avanti dagli Psicologi nelle UUOO ospedaliere evidenziando, non soltanto teorie e profili generali della Psicologia Ospedaliera, ma soprattutto l’aspetto operativo-esperienziale.  I contributi clinici, a tratti anche particolareggiati, sottolineano il valore trasformativo, in termini di esiti, sull’offerta di salute e sulla qualità della prestazione sanitaria. È un testo per tutti gli operatori sanitari, lo stile è narrativo con descrizioni di percorsi diagnostici terapeutici assistenziali.

Di seguito alcuni estratti di casi clinici presentati nel libro.

Psicologia ospedaliera: L’ambito psicosomatico e le nuove frontiere della cura (Paola Dondi, Responsabile UOS Coordinamento attività̀ di Psicologia Ospedaliera AOU – Modena)

“Nel lavoro viene presentato un caso clinico trattato secondo l’approccio psicosomatico comprensivo all’interno di un’Azienda Ospedaliera, l’approccio psicosomatico comprensivo viene declinato attraverso un caso clinico (giovane Paziente ricoverato per malattia di Chron)”.

Il racconto del percorso clinico di Carlo Alberto si declina attraverso interventi psicologici all’interno di setting multiprofessionali, di sedute con il paziente, e dell’utilizzo di tecniche psicologiche ad orientamento psicosomatico.  Importante evidenziare che la possibilità di poter lavorare in interdisciplinarità nasce da relazioni costruite nel tempo in modo che l’organizzazione sanitaria sia preparata ad interventi che vedono coinvolti vari operatori in un lavoro di rete e integrato, all’interno delle proprie identità professionali.                    

“…Il deposito narrativo raccolto dalla madre, fa riferimento ad una storia di vita familiare caratterizzata dalla separazione legale tra lei e il padre di Carlo Alberto quando egli aveva quattordici anni. Il pianto silente del ragazzo è una delle cose più dolorose che la madre dice di avere mai vissuto. Secondogenito di tre figli maschi, è stato concepito qualche mese dopo la scoperta di una malattia tumorale del nonno, morto quando egli aveva sette mesi. Viene descritto come un bimbo attivo, dinamico, socievole, giocoso, passionale e di “buona forchetta”, ma, fin da piccolo, con problemi di salute: asma bronchiale, allergie e difficoltà nel controllo sfinterico con una disposizione a trattenere le feci, risoltasi con cambiamento della dieta alimentare…”.   

“…La storia anamnestica del Paziente ha permesso al clinico Psicologo di riconoscere come il traumatismo, legato all’esperienza di malattia, si è innestato su un percorso individuale evolutivo caratterizzato da difettualità del processo costitutivo del Sé, con affioramento di angosce lacunari non completamente elaborabili…”

L’autrice mette in evidenza vari aspetti del lavoro dello Psicologo in ospedale nella costruzione di relazioni con gli altri operatori sanitari, con il Paziente, con i familiari e con l’organizzazione sanitaria in maniera integrata e multidisciplinare. 

La Psicologia in ospedale: L’esperienza in Chirurgia Pediatrica (Dr. G. Giacalone, Direttore ff UOC Servizio di Psicologia e Responsabile UOS Psicologia Ospedaliera, A. Domingo, Psicologia Ospedaliera – ASP Trapani)

Marco, cinque anni, in ospedale per un intervento di orchidopessi è preso in carico dallo Psicologo per la preparazione all’intervento chirurgico: “…Dico (lo Psicologo)che affronteremo quest’avventura ospedaliera come se fosse un viaggio su un’astronave che porta nel mondo dei sogni e che, visto il coraggio che si ritrova(il bambino),potrà esserne il capitano. Gli spiego che dovrà indossare una divisa colorata, che scenderemo in astronave con un letto con le ruote attraverso un ascensore pieno di luci; una volta arrivati in astronave conosceremo l’equipaggio (infermieri e medici) che si occuperà di accoglierlo e farlo stare bene. Aggiungo che, essendo lui il capitano, collegheremo tutti i congegni sul suo corpo (ECG), gli daremo il comando con un raggio infrarosso collegato al dito (saturimetro), misureremo la forza dei suoi muscoli (sfigmomanometro), allacceremo le cinture per il decollo e respireremo dentro ad una mascherina simile a quella dell’aerosol. Solo in questo momento potrà concentrarsi sul sogno che ha scelto insieme a me…Nel giorno dell’intervento, lo Psicologo si propone al piccolo Paziente come compagno di un’esperienza da fare insieme, rappresenta quella figura conosciuta il giorno prima e che, in assenza del genitore in sala operatoria, gli rimane accanto per tutta la durata del “viaggio”. Il supporto psicologico viene fornito anche ai genitori in attesa durante l’intervento chirurgico: un momento di forte intensità emotiva in cui bramano informazioni, manifestano bisogno profondo di esprimere i loro vissuti, di sentirsi accolti, compresi, nella loro fragilità del momento…”. 

“I ragazzi delle stelle” L’incidente di Castelmagno (Maura Anfossi, Servizio di Psicologia Ospedaliera e Trauma Center dell’A.O.S. Croce e Carle – Cuneo

“…Era la notte successiva a quella di San Lorenzo: nove ragazzi, amici affiatati, avevano organizzato in montagna una serata per vedere le stelle. Come la rondine di Pascoli non fecero ritorno perché́ il fuoristrada, guidato dal maggiore di loro, precipitò lungo un dirupo. Il bilancio è tragico: cinque muoiono sul colpo, due sono in prognosi riservata e due ragazze risultano illese. Una delle due ragazze riesce a contattare la famiglia nel paese sottostante e attivare i soccorsi. Arrivano sul posto i genitori di alcuni ragazzi, poco dopo gli uomini del Soccorso Alpino della vallata e successivamente il 118. La scena che i soccorritori trovano rimarrà̀ loro impressa per giorni (e notti): giovani corpi immobili, incastrati tra i rovi della scarpata e grida di disperazione dei genitori. La notte stellata si è trasformata nella notte della disperazione” Il racconto si intreccia con un altro episodio relativo al tentativo anticonservativo di un infermiere. Tutto si svolge attraverso interventi in urgenza e sono immediatamente attivati, dentro l’ospedale, gli Psicologi del Trauma Center. Brifing rapido con i Medici e contemporaneamente sono valutate le priorità strategiche di intervento sia con i sopravvissuti, sia con le famiglie.  Gli interventi, naturalmente, proseguiranno nei giorni successivi, e, a volte nei mesi, attraverso percorsi di Psicoterapia. “…Nel corso della settimana successiva tutti i genitori dei ragazzi deceduti si sono rivolti al TC e hanno effettuato almeno due incontri: alcuni hanno intrapreso e concluso il percorso di supporto con terapia EMDR, altri sono stati seguiti per alcuni mesi, e la madre dei fratelli deceduti entrambi è stata seguita fino al primo anniversario…”

Respirando a mente aperta. Progetto Pilota di montagnaterapia (Elisa VegnaPsicologia Ospedaliera ASP Trapani)

Quando uomini e montagne si incontrano, 
grandi cose accadono… 
William Blake

Ospedale S. Antonio Abate della ASP di Trapani, UO Oncologia Medica. 

È stato avviato, insieme al CAI (Club Alpino Italiano) un progetto di montagnaterapia per Pazienti oncologici per verificarne i benefici coinvolgendo anche gli operatori sanitari e i caregiver. Si tratta di escursioni, nella montagna di Erice, attraverso sentieri, alla portata dei Pazienti, che mettono in risalto la voglia di arrivare, misurarsi con sé stessi e saper utilizzare le proprie risorse e potenzialità.  Inoltre, si cammina tutti con lo stesso passo, il gruppo attende se un escursionista è stanco, si rafforzano le relazioni e si rinforzano i processi di auto muto aiuto. “…Lorena ha mostrato la propria necessità all’introspezione attraverso la distanza dagli altri compagni del gruppo, il desiderio di concentrarsi su di sé mostrandosi molto silenziosa nei primi momenti del percorso….l’esperienza di montagna terapia vissuta le ha permesso di non porre l’accento solo sulla propria patologia e sulle difficoltà ad essa connesse, ma anche sulle propri risorse residue…La cima di una montagna da sempre rappresenta metaforicamente il successo, il raggiungimento di un obiettivo, un punto di arrivo, ma anche la fatica, la sofferenza e il sacrificio per raggiungerla. Salire su una cima, raggiungere una vetta, fare la scalata: tutte espressioni che, attraverso il riferimento metaforico alla montagna, indicano il successo, il raggiungimento degli obiettivi, l’andare verso l’alto. La montagna, dunque, come simbolo di determinazione, di punto di arrivo, di meta più o meno facilmente raggiungibile che ben rappresenta l’idea del “farcela…” Il vertice terapeutico del progetto, nonostante rimandi ad un aspetto “curativo”, deve anche essere inteso nell’ottica più ampia della promozione della salute e del benessere come qualcosa di più dell’assenza di malattia…

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Riportiamo queste narrative in quanto coerenti con una visione olistica dell’uomo e un’ottica multidisciplinare, elementi utili ad incontrare le persone al di là dei sintomi e proprie anche ai nostri interventi psicologici e psicosomatici. 

Per noi, e per chi come noi lavora in una dimensione privata della cura, è interessante poter leggere e ascoltare questa declinazione in ambito ospedaliero. Ringraziamo gli autori per questa preziosa testimonianza che permette a noi professionisti di condividere come la presa in carico sappia essere integrata e possibile in più contesti, partendo da principi e concezioni simili. Avere un dialogo non solo fra discipline, ma tra contesti, che non crei delle isole, è essenziale nel panorama complesso della cura.


Gli autori:

Dr Giuseppe Giacalone

Psicologo Psicoterapeuta, laureato, nel 1981, presso Università la Sapienza – Roma. Dal 1981 al 1985 formatore presso il Provveditorato degli Studi di Trapani nei corsi di specializzazione per insegnanti di sostegno. Dal 1983 al 1986 Consulente Psicologo presso l’Istituto Regionale per la Psicologia Sociale (Catania) In Azienda Sanitaria Trapani dal 1988, nei primi anni ha lavorato presso il SERD. Successivamente, per circa un decennio, è stato Responsabile della UOS Formazione ed ECM. Dal 2011 Responsabile della UOS Psicologia Ospedaliera. Dal 2019 Direttore ff UOC Servizio di Psicologia.

Dr. Antonino Domingo

Psicologo Psicoterapeuta laureato nel 2007, presso Università degli Studi di Palermo, nel 2014 ha conseguito la specializzazione in Psicoterapia presso l’Accademia di Psicoterapia della Famiglia. Ha ampliato le proprie competenze cliniche conseguendo un Master Universitario in Psicodiagnostica clinica e forense e formandosi all’approccio psicoterapeutico EMDR. In ASP 9 Trapani dal 2018, oggi svolge principalmente la propria attività presso l’UOC Servizio di Psicologia – UOS Psicologia Ospedaliera all’interno dell’UOSD Chirurgia Pediatrica e Neonatale del Presidio Ospedaliero Sant’Antonio Abate.

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