PSICOLOGIA PSICOSOMATICA – 46 – PUBBLICATO IL 31 OTTOBRE 2023
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Nella nostra società, il ritiro sociale rappresenta una problematica clinica attuale in costante aumento in cui evitamento e fobia sociale ne costituiscono la fenomenologia patologica. Per poter analizzare al meglio questo fenomeno, voglio partire da una vignetta clinica che ho scelto ritenendola esemplificativa di molti casi di ritiro sociale che l’équipe dell’Istituto di Psicosomatica Integrata ha incontrato in questi anni:
Filippo – nome di fantasia – è un ritirato sociale di 18 anni. Esce dalla sua camera per la prima volta dopo tre anni per incontrare il terapeuta. Filippo gioca in Rete e fuma marijuana giorno e notte, non si lava, beve birra e Coca-Cola e mangia solo merendine e patatine. Nel frattempo, un’amica con la quale condivideva il gioco on line inizia un percorso di psicoterapia, convincendo anche lui a chiedere aiuto.
Anche se molto breve, da questa presentazione del caso, emerge già un elemento differenziale che appartiene a questo tipo di clinica che abbiamo definito digitalmente modificata (Scognamiglio & Russo, 2018), all’interno della quale c’è anche il fenomeno del ritiro sociale. Questo primo elemento è la mancata percezione della gravità: da parte del paziente (il quale, come quasi sempre accade in questi casi, non ritiene neppure di avere un sintomo) e, soprattutto, da parte del contesto familiare. La domanda di aiuto, infatti, arriva dall’amica, o meglio, dal suo lavoro psicoterapeutico, e non dai genitori, che, nella nostra esperienza, attendono in media tre anni e due bocciature o molti esami saltati all’Università prima di attivarsi per richiedere un intervento.
La gravità viene pertanto scotomizzata, e il disagio si mimetizza per moltissimo tempo nella speranza che qualcosa, a un certo punto, accada…

Una volta arrivato in seduta, Filippo non esprime aspetti conflittuali, né oppositivi o provocatori. È semplicemente “altrove” rispetto a ciò che gli accade: “Vorrei solo essere lasciato in pace!” è la frase che ripete costantemente. In realtà emerge, dunque, un volere “qualcosa”, ma questo “qualcosa” non apre a richieste e bisogni affettivo-relazionali. Di conseguenza, così come la maggior parte dei ritirati sociali, Filippo dimostra quanto oggi non ci sia più la necessità di passare dalla relazione con l’altro in carne e ossa per raggiugere un proprio ben-essere: l’altro della relazione ha dismesso il ruolo di interlocutore e non può più aiutare a trovare, o ritrovare quando si perdono, gli stati di soddisfazione e condizioni di comfort.
Questo scenario ci porta all’interno di un secondo elemento differenziale di questa nuova clinica: l’assenza dell’Altro.
IL RIMEDIO È L’ALTRO DIGITALE
Per il soggetto nevrotico, così come per il borderline o il narcisista, la presenza o meno dell’Altro sulla scena è da sempre un’enorme complicazione affettiva che spinge a una continua e faticosa ricerca di un equilibrio emotivo in un complesso panorama relazionale fatto di scontri, idealizzazioni, risentimenti, delusioni, ecc.
Diversamente, nelle loro prolungate condizioni d’isolamento, i ritirati sociali dimostrano di poter affettivamente vivere senza l’altro reale e riuscire a stare comunque bene, senza avvertirne il bisogno.
Ma come fanno questi ragazzi e ragazze a fare a meno dell’altro della relazione?
Dopo molto tempo, grazie al percorso terapeutico, Filippo ha cominciato a spiegarsi perché non riesce a percepire un senso di disagio nel vivere nella condizione di ritiro e perché non avverte il bisogno di relazioni umane: “Solo adesso mi accorgo che talvolta sento arrivare qualcosa che non va e automaticamente ritorno a videogiocare o chattare. Subito mi sento meglio e non ci penso più!”. Senza avere un’idea strumentale del mezzo digitale e del suo utilizzo come strumento di compensazione, Alessandro ci mostra quale sia il suo rimedio automatico a “quel qualcosa che non va”. Il rimedio è l’Altro digitale, non quello reale. È il Web! Nel vuoto affettivo-relazionale in cui vivono nelle loro stanze, è dunque il rapporto con la Rete virtuale a fornire oggetti con funzioni regolative e di tampone del disagio.
La regolazione digitale avviene attraverso:
- la protezione dalla frustrazione e dal dolore dell’impatto con i grandi e piccoli traumi della vita quotidiana;
- l’espressione dell’aggressività e della messa alla prova col rischio (questo avviene soprattutto nel mondo dei videogiochi);
- la soddisfazione dei bisogni di sicurezza e socializzazione;
- la soddisfazione dei bisogni del corpo (es. quelli riguardanti la sessualità attraverso siti pornografici);

IL RITIRO SOCIALE COME BASE SICURA
L’Altro digitale, dunque, si sostituisce all’altro in carne ed ossa, in primis quello genitoriale, tenendo in vita questi ragazzi, facendoli sentire vivi in termini di emozioni e sensazioni, ma nello stesso tempo, intrappolandoli nel mondo virtuale. In questa delega di funzioni di holding e nutrimento dall’Altro reale genitoriale all’Altro digitale, l’Altro digitale prende spazio diventando il vero caregiver, cioè la figura d’accudimento delle nuove generazioni: il caregiver è l’Altro digitale.
Questo nutrimento avviene attraverso meccanismi digitali di ricompensa attraverso scariche dopaminergiche, come per l’uso di sostanze quali ad esempio la cocaina, ma con la grande differenza che il nutrimento digitale è immediato e sempre disponibile, cioè ininterrotto e senza pause. Per dirla con la Klein (1932), un seno buono, munifico, ubertoso, onnipresente e onnisciente in grado di nutrire e soddisfare molto più rapidamente di qualunque processo mediato di regolazione relazionale, senza stimolare lo sforzo d’adattamento, soprattutto in termini di rappresentazioni psichiche. Da un lato, dunque, la velocità e l’intensità del digitale nel saturare il disagio; dall’altro, un’attitudine all’immobilità psichica soggettiva creano un terzo elemento differenziale della clinica digitalmente modificata: non c’è sofferenza, intesa come mal-essere,perché la Rete cura e tampona in tempo reale l’insorgenza dei disturbi. Così facendo, il disagio non arriva a trasformarsi in sofferenza. Se il disagio, infatti, non passa attraverso l’altro della relazione, non può trasformarsi in mal-essere, cioè in sofferenza psichica, permanendo in un formato corporeo, concreto, digitale, svuotato di rappresentazioni psichiche. Le difficoltà e le preoccupazioni individuali, così come le insicurezze sociali, sono isolate e anestetizzate dall’Altro digitale che, contemporaneamente, assorbe gli investimenti affettivo-relazionali. La Rete diventa così l’unico Altro su cui i ritirati sociali come Filippo possono contare, e il ritiro nella propria stanza il tentativo di costruire una condizione di sicurezza: una base sicura nella quale rifugiarsi.

SOSTITUTI MATERNI IN FORMATO DIGITALE
Anche un traumatismo primario o forme d’attaccamento disfunzionali vengono tamponate dal contesto digitale: un attaccamento disorganizzato oggi è parzialmente riparato dalla Rete: non c’è la madre e, con un click, ecco apparire un sostituto materno in formato digitale: influencer, youtubers, creators, avatar, ecc. Il digitale è il biberon che sostituisce i buchi di nutrimento affettivo-relazionale, fornendo il latte al bisogno all’interno di un attaccamento sicuro in formato digitale. Dunque, all’incertezza sociale, oltre che affettiva e relazionale, questi ragazzi e ragazze preferiscono rivolgersi alla certezza del ritiro sociale e all’onnipresenza digitale per evitare un’implicazione soggettiva con l’angoscioso mondo di “fuori” del quale non possiedono le “istruzioni per l’uso”.
A questo punto, dovremmo chiederci: esisterebbe oggi il ritiro sociale senza il Web?

Secondo noi, in queste modalità, no! L’utilizzo massivo del Web finisce per fornire un habitat alternativo al mondo reale, con regole ed esigenze proprie che stravolgono la quotidianità, a partire dai ritmi biologici, con conseguenti disturbi del ritmo circadiano del sonno e dell’alimentazione.
Inoltre, oltre alla regolarità biologica, la digitalizzazione stravolge anche le tradizionali chiavi di lettura del fenomeno del ritiro sociale e, più in generale, delle logiche cliniche. Fino ad ora, infatti, gli studi in letteratura che si sono occupati dell’eziopatogenesi della psicopatologia, quali ad esempio quella dei disturbi di personalità, hanno affrontato il tema a partire dalle ricerche sulla relazione madre-bambino, senza tuttavia contestualizzarla nel cambiamento del contesto sociale degli ultimi trent’anni.
Risulta, infatti, piuttosto raro vedere esplorata l’influenza della matrice socioculturale sul pattern relazionale primario, anche se i processi di digitalizzazione di massa modificano gli schemi primari d’attaccamento.
Ma allora cosa cambia se prendiamo in considerazione l’influsso della digitalizzazione sui pattern dell’attaccamento?

Ci sono già numerosi studi effettuati (Mackay et al., 2022; Myruski et al. 2017; Stockdale et al., 2020) che evidenziano come, per esempio, l’ingresso dello smartphone nelle fasi di allattamento modifica la struttura stessa dell’attaccamento per come l’abbiamo sempre studiata: è la Technoference, cioè l’interferenza dei device tecnologici e i loro effetti all’interno della relazione diadica primaria. Le ricerche (Field, 1994; Field et al., 2007) mostrano che la Technoference produce analoghe conseguenze rispetto allo Still Face Paradigm: una madre non depressa, distratta dall’utilizzo dello smartphone, produce gli stessi effetti nel bambino di una madre depressa: incremento dei comportamenti di auto-conforto allo scopo di autoregolarsi, fino a comportamenti di rinuncia.
Se la madre allatta col device tecnologico, l’interazione è già costantemente mediata da un terzo: dal medium digitale, però, non dal terzo paterno!
IL RITIRO COME PREDISPOSIZIONE SOCIALE DELL’ERA DIGITALE
Possiamo, dunque, concepire oggi l’attaccamento con gli stessi criteri e le stesse categorie cliniche dell’era pre-digitale? E, più in generale, come porci di fronte ai nuovi scenari della clinica digitalmente modificata? A partire dalla storia di Filippo, emerge chiaramente come il fenomeno del ritiro sociale ponga interrogativi inediti al mondo della psicoterapia, mettendo in crisi i tradizionali punti di repere diagnostici, e, di conseguenza, quelli della prassi terapeutica. Tutto ciò costringe a cambiare urgentemente gli schemi di riferimento e ripensare i percorsi e i processi evolutivi per come li abbiamo classicamente appresi.
A nostro avviso, per esempio, occorre andare al di là della tendenza presente in ambito psicoanalitico di una lettura intrapsichica della psicopatologia, che parte da una motivazione individuale, sottolineando l’intenzione e la scelta inconscia del soggetto. Questo approccio spesso si traduce in terapia nel puntare sulle risorse del paziente, lasciando in secondo piano l’influenza del contesto sociale d’appartenenza. Diversamente, secondo noi, il ritiro sociale non è più inquadrabile come una problematica individuale, bensì come una predisposizione sociale dell’era digitale: oggi è necessario allargare il campo d’osservazione, considerando il ritiro sociale come un fenomeno trans-clinico di derivazione sociale.
La proposta è, dunque, non solo di passare da una visione della psicopatologia all’interno di un modello intrapsichico a uno intersoggettivo, ma allargare ulteriormente la concezione a un modello che, come direbbero gli psicoanalisti post-bioniani, potremmo definire “di campo” (Ferro & Civitarese, 2015).

LA FAMIGLIA DIGITALMENTE MODIFICATA
La Rete virtuale è il campo nel quale siamo immersi che ci influenza e ci trasforma. È fondamentale evidenziare, tuttavia, che la relazione con la Rete virtuale non è un rapporto dialettico “alla pari”: la macchina vince sull’umano, trasformandolo. Ciò che con forza vogliamo sottolineare, dunque, è l’influenza plasmante della Rete sull’individuo e sulla famiglia. Per esempio, come cambia la famiglia di oggi sotto l’influsso del Web? Nella misura in cui le precoci interiorizzazioni delle funzioni regolative vengono spostate all’esterno della rete familiare e delegate alla Rete virtuale, anche la famiglia, come istituzione simbolica, viene esautorata e si disgrega:
- da un lato, gli adulti non sono più in grado di mantenere la verticalità della famiglia normativa di una volta e di produrre le funzioni di protezione, sicurezza e direttività che un’istituzione sociale dovrebbe avere;
- dall’altro, assistiamo al superamento dell’orizzontalità della famiglia affettiva(Charmet, 2000; Lancini, 2017) in quanto anche le funzioni di supporto, solidarietà, amorevolezza sono assorbite dal Web;
Nella società digitalizzata nasce così la famiglia digitalmente modificata (Scognamiglio, Russo, Fumagalli, 2024), composta cioè da quei nuclei familiari in cui i membri vivono quasi da “separati in casa”: un insieme di monadi in cui ognuno è preso dai propri oggetti d’investimento, digitali e non, e nessuno è più in grado di accorgersi veramente dell’altro e, di conseguenza, di prendersene cura.
Nel lavoro con le famiglie, riteniamo fondamentale lavorare sul riconoscimento dei pattern di evitamento che il sistema familiare trasmette ai ragazzi tramite la connivenza dei fantasmi inconsci dei genitori. Il figlio pre-adolescente, adolescente o giovane adulto si dirige quindi verso il ritiro perché in famiglia è attivo un sistema difensivo di evitamento dei carichi emotivi, che inconsapevolmente alimenta i pattern d’evitamento dissociativo: per esempio, il più frequente è l’improvviso blocco della comunicazione con allontanamento fisico.

Inoltre, spesso i segnali d’allarme di un prossimo ritiro sociale sfuggono a uno sguardo superficiale, passando inosservati nella loro gravità non soltanto agli occhi dei genitori ma, non di rado, anche ai clinici.
EVITAMENTO MASCHERATO
Vi sono fenomeni di evitamento mascherato dall’altro in carne e ossa che sono spesso scambiati per manifestazioni di efficientismo tecnologico e non come rimedi all’incapacità di regolare l’angoscia. Ecco un esempio:
Elio, 18 anni, acquistava da anni ormai esclusivamente online. Solamente in seduta riesce a confidare che era terrorizzato dalla commessa che poteva fare domande, insistere e forzarlo all’acquisto. Così andava in ansia e comprava, anche se non era convinto della scelta.
Siamo qui in presenza di un meccanismo inibitorio alimentato da una conflittualità interna del tipo: “Vorrei ma non riesco”? Secondo noi, qui l’inibizione non c’entra! Diversamente, c’è da evidenziare che esiste un fenomeno di pressione sociale che “vuole” e ritiene più conveniente procedere nella direzione digitale. Il marketing online non interrompe mai la sua pressione, continuando a sollecitare tutti gli utenti del Web: anche se non esci di casa, il mondo dello shopping online entra nella tua stanza e nel tuo cervello, condizionandoti.
Ho fatto l’esempio di Elio ma “tutti noi siamo Elio”, perché, come lui, siamo sottoposti continuamente alle medesime stimolazioni. C’è un sistema sociale che rinforza questa scotomizzazione dell’umano e che, consapevolmente e subliminalmente, spinge tutti noi a comprare su internet senza passare attraverso la più faticosa, lenta, incerta e, talvolta, angosciante, rete sociale. Da un punto di vista terapeutico è da considerarsi un successo che Elio sia riuscito a condividere il vissuto di terrore che provava nei confronti della commessa.
MA A COSA SERVE OGGI L’ADULTO?
La non facile lettura di questi scenari clinici inediti ci porta dentro un continuo dis-incontro tra il mondo degli adulti e quello della nuova generazione, non solo quella dei ritirati sociali: un buco nero d’incomprensione tra due universi paralleli, nel quale il rischio è la mancata costruzione delle basi di un reciproco riconoscimento.
In una delle sue prime sedute, Giacomo, 16 anni, ci introduce in questo mondo di estraneità nel quale ognuno è alieno per l’altro: “Non capisco perché da un po’ i miei insistano perché parli con loro. Non so proprio a cosa possa servire. Ma a cosa serve l’adulto?”.
Quest’ultima frase ci fa precipitare dentro il fallimento di una funzione genitoriale. È importante evidenziare che Giovanni non parla ai suoi genitori non a causa di violenze o gravi traumi subiti. Non si rivolge a loro perché non è mai stato costruito un luogo d’incontro, dialettico, di scambio, dal quale poter assimilare una funzione simbolica dell’Altro. Quello di Giovanni, in modo analogo a molti altri casi di ragazzi ritirati sociali, non è un contesto familiare violento, psicotico o gravemente psicopatologico. Emerge, dunque, un quarto elemento differenziale della nuova clinica digitalmente modificata: il disagio è camuffato da un sembiante di normalità.

In questo pervasivo mascheramento del disturbo, la funzione genitoriale e, più in generale, l’Altro simbolico non si costituisce perché non sono state create a monte le condizioni per poterlo interiorizzare. Il grave problema clinico è che se non c’è l’Altro non c’è neanche un soggetto. Dobbiamo pertanto introdurci in questo universo della clinica del ritiro sociale da questa porta di accesso che è lo svuotamento della funzione simbolica dell’Altro e dell’oggetto e, di conseguenza, anche dello statuto di soggetto. Siamo all’interno di uno scenario clinico in cui la soggettività:
- da un lato, non è spinta a costituirsi poiché l’Altro, in primis quello familiare, è sempre più evanescente;
- dall’altro, è eclissata dalla “volontà” dell’Altro digitale.
UNA CLINICA SENZA SOGGETTI: NUOVE SFIDE TERAPEUTICHE
Il rapporto con il Web non può essere più concepito all’interno di un rapporto dialettico, in quanto la spinta compulsiva al consumo degli oggetti digitali e la gratificazione dopaminergica compensatoria dello spazio virtuale saturano il campo relazionale: l’effetto è un’evanescenza della soggettività. Il soggetto, dunque, scompare, poiché è l’oggetto a prendere il posto dei soggetti e del loro lavorio per poter arrivare a essere tali.
Ma allora il ritirato, dunque, usa la Rete per completare i suoi compiti evolutivi, come affermano alcuni autori (Charmet, 2000; Lancini, 2017), oppure è usato dalla Rete perché questa fornisce senso alla sua esistenza? Noi propendiamo per questa seconda ipotesi, sottolineando che la scelta del ritiro, più che inconscia, è del Web e di un contesto sociale che spinge ragazzi e ragazze a chiudersi nelle loro stanze con identità già indotte e preparate dai pattern evitanti sociali e familiari. Secondo noi, occorre ripensare l’interpretazione del ritiro sociale come un atto di volontà, conscio o inconscio, di rifiuto o come un comportamento provocatorio, oppositivo o di rivendicazione di un soggetto nei confronti di un mondo adulto e sociale di cui non condivide il modello di vita. Dunque, la visione che concepisce il ritirato in una posizione agente, anche inconscia, è discutibile e da verificare.

Diversamente, la nuova esperienza terapeutica che siamo chiamati ad affrontare nel lavoro di psicoterapia con i ritirati sociali è quella di una clinica senza soggetti, categoria che ci pone di fronte a nuove prospettive sulla conduzione della cura e a una difficile decifrazione diagnostica rispetto a una clinica più tradizionale come, ad esempio, quella dello spettro dei Disturbi di Personalità.
La sfida terapeutica è duplice: da un lato, resistere nel non essere digitalmente strumentalizzati dalla pressione sociale e, di conseguenza, anche dai trend terapeutici che mirano ad aggiustare l’ingranaggio della macchina che non funziona più con terapie per togliere l’ansia, per riuscire a farli studiare, socializzare, andare a scuola o all’università e così via; dall’altro, introdurre nei nostri percorsi una dimensione dell’umano che il ritirato sociale non ha sperimentato con l’altro in carne e ossa.
Oltre al setting individuale, l’importanza attribuita all’influenza dell’Altro sociale, parentale, genitoriale e dei gruppi di appartenenza si traduce nell’intervento terapeutico, in una grande attenzione alle logiche e le dinamiche gruppali. Infatti, oltre alla caduta delle grandi istituzioni sociali, ovvero di una verticalità che definisce gerarchicamente il sistema simbolico, assistiamo alla perdita dell’orizzontalità che ha escluso la socialità tra pari nello spazio reale del corpo a corpo.
È questa dimensione dell’esperienza che cerchiamo di creare e far vivere ai nostri giovani pazienti ritirati.
Oltre, dunque, a un lavoro all’interno di un setting individuale, concepiamo la possibilità di un lavoro di gruppo fra pari che verrà presentato nella futura pubblicazione della Dottoressa Alice Scognamiglio.
Non perderti le prossime pubblicazioni!
Bibliografia
Charmet, G.P. (2000). I nuovi adolescenti: padri e madri, di fronte a una sfida, Raffaello Cortina, Milano.
Ferro, A., Civitarese, G., (2015). Il campo analitico e le sue trasformazioni, Raffaello Cortina Editore, Milano.
Field, T. (1994), The effects of mother’s physical and emotional unavailability on emotion regulation, in Monographs of the society for research in child development, 59(2-3), 208-227.
Field, T., Hernandez‐Reif, M., Diego, M., Feijo, L., Vera, Y., Gil, K., & Sanders, C. (2007). Still‐face and separation effects on depressed mother‐infant interactions, in Infant Mental Health Journal, 28(3), 314-323.
Klein, M., (1932). La psicoanalisi dei bambini, Martinelli, Firenze.
Lancini, M. (2017). Abbiamo bisogno di genitori autorevoli, Mondadori, Milano.
Mackay, L. J., Komanchuk, J., Hayden, K. A., & Letourneau, N. (2022), Impacts of parental technoference on parent-child relationships and child health and developmental outcomes: a scoping review protocol, in Systematic reviews, 11(1), 1-7.
Myruski, S., Gulyayeva, O., Birk, S., Pérez‐Edgar, K., Buss, K. A., & Dennis‐Tiwary, T. A. (2017), Digital disruption? Maternal mobile device use is related to infant social‐emotional functioning, in Developmental science, 21(4), 1-9.
Scognamiglio, R.M., Russo, S.M. (2018). Adolescenti Digitalmente Modificati (ADM). Competenza somatica e nuovi setting terapeutici. Mimesis, Milano.
Scognamiglio, R.M., Russo, S.M., Fumagalli, M. (2024). Il narcisismo del You. Come orientarsi nella clinica digitalmente modificata. Mimesis, Milano.
Stockdale, L. A., Porter, C. L., Coyne, S. M., Essig, L. W., Booth, M., Keenan‐Kroff, S., & Schvaneveldt, E. (2020), Infants’ response to a mobile phone modified still‐face paradigm: Links to maternal behaviors and beliefs regarding technoference, in Infancy, 25(5), 571-592.
Le immagini sono gentilmente concesse dal portale Pixabay.