“Il futuro, l’idea stessa di futuro, reca ormai il segno opposto, la positività pura si trasforma in negatività, la promessa diventa minaccia. Certo, le conoscenze si sono sviluppate in modo incredibile ma, incapaci di sopprimere la sofferenza umana, alimentano la tristezza e il pessimismo dilaganti. È un paradosso infernale. Le tecnoscienze progrediscono nella conoscenza del reale, gettandoci contemporaneamente in una forma di ignoranza molto diversa, ma forse più temibile, che ci rende incapaci di far fronte alle nostre infelicità e ai problemi che ci minacciano. Per dirla in termini più chiari, viviamo in un’epoca dominata da quelle che Spinoza chiamava le “passioni tristi”.
(…)
Il desiderio è quindi, semplicemente il fondamento stesso dell’apprendimento. Sicuramente l’apprendimento scolastico è anche “utile” al bambino, perché se ne può servire nella vita quotidiana. Ma è il frutto del desiderio e della pulsione epistemofilica, e non di un semplice utilitarismo. Non si tratta semplicemente di essere informati, perché l’educazione non si riduce all’assimilazione di una “modalità d’impiego della vita”… La pulsione epistemofilica e il desiderio di apprendere non sono espressione del solo istinto di sopravvivenza. Non si limitano a fornire un metodo di sopravvivenza. Esprimono, anzi, il desiderio di cultura. Inteso in questo modo, il desiderio è, senza dubbio, ciò che pone in relazione con gli altri e, in tal senso, si accorda con le nozioni di molteplicità e di pluralità. Il desiderio pone in relazione, crea legami, mentre l’educazione finalizzata alla sopravvivenza implica che “ci si salva da soli”. Nella sopravvivenza, prima o poi si è “contro gli altri”.”
Gérard Schmit e Miguel Benasayag, “L’epoca delle passioni tristi” (2013)
