“La verità ti fa male, lo so” recita una celebre canzone degli anni Sessanta di Caterina Caselli.
La verità può fare molto male, e questo spinge ogni individuo a rifuggire il dolore e ad allontanarsene il prima possibile quando è costretto a farne esperienza. Siamo biologicamente portati ad allontanarci da uno stimolo dolorifico ancora prima di esserne consapevoli. Quando appoggiamo la mano su un ago, la stimolazione dei nocicettori si traduce in un impulso sensoriale che arriva al midollo spinale e attiva una risposta muscolare di allontanamento della mano. Questo gesto avviene prima che le informazioni siano trasmesse alla corteccia somatosensoriale primaria, deputata al riconoscimento dello stimolo dolorifico.
Analogamente, in modo prevalentemente inconscio, operano i meccanismi di difesa, teorizzati per la prima volta da Freud nell’opera Le psiconevrosi da difesa (1894):
“nella loro vita ideativa si era presentato un caso di incompatibilità […] che aveva suscitato un affetto talmente penoso, che il soggetto aveva deciso di dimenticarlo, convinto di non avere la forza necessaria a risolvere, per lavoro mentale, il contrasto esistente tra questa rappresentazione incompatibile e il proprio Io.”
Con il termine «meccanismo di difesa» si fa riferimento a processi mentali attuati dalla parte inconscia dell’Io finalizzato a proteggerlo da desideri, affetti, emozioni e pensieri inaccettabili e quindi rimossi, riattualizzati da situazioni avverse e stressanti.

Ai contenuti inconsci viene attivamente negato l’accesso alla coscienza attraverso la rimozione: forze mentali dinamiche si oppongono ai tentativi di conoscere alcuni contenuti della nostra mente, impedendo che possano essere portati alla coscienza attraverso un semplice atto di attenzione o di richiamo.
Come sappiamo, Freud sostiene che l’analisi dei sintomi nevrotici e dei sogni consenta di pervenire ad una conoscenza – sia pure parziale – dell’inconscio. Tuttavia, anche al di fuori del contesto terapeutico, l’inconscio si manifesta attraverso una serie di derivati come lapsus, atti mancati e dimenticanze. Secondo il determinismo psichico freudiano, infatti, nella mente umana, come nella natura fisica che ci circonda, nulla avviene per caso. Come in fisica si ragiona in termini di causa-effetto, cercando per ogni fenomeno la causa che lo ha prodotto, Freud ritiene che si possa procedere in modo analogo nel mondo psichico. Dietro a quello che siamo soliti definire come la nostra libertà o la nostra spontaneità si celerebbe una complessa rete di concatenazioni causali che determina il nostro psichismo. Anche nella vita quotidiana, i lapsus, le dimenticanze o gli atti mancati non accadono in modo accidentale o casuale, bensì hanno la loro causa in avvenimenti precedenti, che forse vorremmo dimenticare perché fastidiosi o conflittuali.
Freud dedica agli atti mancati o lapsus tre lezioni in Introduzione alla psicoanalisi (1915-17), sostenendo come il lapsus, fino ad allora ritenuto un semplice errore, abbia invece un senso e sia espressione di un contenuto e di un significato. Freud scrive:
“Ci sembra che talvolta l’atto mancato sia di per se stesso un’azione del tutto normale, che si è messa al posto di un’altra azione attesa o progettata.”

Coerentemente con quanto sostenuto a proposito dei sintomi nevrotici e dei sogni, Freud ritiene quindi che anche i lapsus abbiano un senso nascosto. La sua posizione sembra avvicinarsi e al contempo differisce radicalmente dalla tradizione scettica che aveva messo in evidenza la fallibilità della ragione umana e, quindi, l’incapacità di raggiungere la verità. Affermando che l’errore ha un significato, Freud riscrive i confini di tale dominio, interpretando il lapsus non tanto come una questione di errore o di verità, quanto piuttosto come l’esito di un conflitto tra diverse verità, in cui la verità inconscia del lapsus sfugge al rimosso, affiora e prevale sulla verità di un altro pensiero o rappresentazione consapevole.
Fino a questo momento abbiamo fatto riferimento a operazioni mentali prevalentemente inconsce che alternano la verità per creare e proteggere una rappresentazione unitaria, coerente e accettabile di noi stessi. Proviamo ad estendere ora la riflessione sulla verità all’attualità, considerando il ruolo del Web e dei social network.

Un fenomeno non certo nuovo ma che negli ultimi anni, con l’avvento di Internet, ha subito una brusca accelerazione è quello inerente alle c.d. fake news, ossia informazioni inventate o ingannevoli pubblicate con l’intento di disinformare o di creare scandalo attraverso i mezzi di informazione. La fortuna di questo concetto è legata all’episodio in cui nel gennaio 2017 l’allora neo-eletto Presidente degli Stati Uniti Donald Trump si è rifiutato di rispondere alle domande di un reporter della CNN apostrofandolo con le parole “You are fake news!”.
Un’altra questione molto dibattuta riguarda l’uso dei social network da parte dei più giovani, in particolare di Instagram. Da un lato alcuni studiosi e ricercatori sostengono che i social network rappresentino uno spazio in cui gli utenti possono rifugiarsi per sfuggire allo stress e alle preoccupazioni, oltre che esprimere aspetti genuini di sé e sperimentare un senso di appartenenza a una comunità ormai quasi introvabile nella realtà offline. Altri, invece, mettono in guardia dal pericolo che foto e selfie, costantemente arricchiti da nuovi filtri, che ritraggono influencer in luoghi meravigliosi e patinati, contribuiscano ad alzare gli standard di bellezza e di successo al punto da generare frustrazione nei follower. Per far fronte a tale sentimento, alcuni reagiscono sostenendo un falso sé come adattamento difensivo di fronte agli attacchi cui la propria autostima è sottoposta. Una volta costruita, tale identità necessita di essere alimentata in modo continuo, in una spirale disadattiva in cui verità e falsità tendono a confondersi.

In questo magma indistinto di desiderio di uniformarsi e al contempo di distinguersi tipico dell’adolescenza, spetta all’adulto avvicinarsi senza pregiudizio ed empaticamente a questa dimensione ambivalente del sé e dell’esperienza, e accompagnare i giovani ad un uso consapevole e critico dei mezzi, utilizzando la propria esperienza per disambiguare le situazioni in cui Internet può essere utile per l’espressione autentica di sé da quelle in cui esso può rivelarsi un nonluogo, un luogo di disincontro in cui verità e falsità sono spesso indistinguibili.
Grazie alla prestigiosa rassegna FilosofArti, gli esperti Riccardo Marco Scognamiglio e Andrea Zoccarato, hanno toccato questa tematica e il video, attualmente reperibile sul canale youtube di FilosofArti, dal 2 luglio alle 21:00 sarà presente anche sulle pagine Facebook dell’Istituto di Psicosomatica Integrata e dell’Istituto di Psicosomatica Integrata – Polo Varesino.
