“… Fra le posizioni patologiche che si fondano sull’illusione di padroneggiare completamente il corpo, di possederlo, predomina la posizione anoressica. (…) Nella bulimia, infatti, la volontà del corpo domina, è sempre in agguato nella forma di un’angoscia divorante. La persona che ne soffre segue così, similmente al tossicodipendente, la via del diniego: si racconta di coincidere totalmente col proprio corpo vivendo, in realtà, nella paranoia di essere colta di sorpresa da una sua richiesta (di cibo), segno ineluttabile di una sua presenza alienante.
L’anoressica, invece, sa di avere un corpo. Lo sa tragicamente, concependolo come un nemico pericolosissimo da tenere a bada. Nella misura in cui ne subisce tutto l’insopportabile ingombro, l’atto di vomitare è concepito come il vero grande trionfo sul nemico, unica possibilità di riconquistare la proprietà sul proprio corpo.
Ecco perché, come ho già sottolineato altrove, l’oggetto fondamentale della ciclicità bulimico-anoressica non è in realtà il cibo, bensì l’atto emetico: una vera anoressica che cede all’attacco bulimico, lo organizza, lo pianifica già includendovi tutte le strategie per vomitare, con tanto di ricette pro emetiche (Scognamiglio, 1997; 2008). Non è di vomito semplicemente che sto parlando. Questa volontà di riappropriazione giunge, infatti, fino al paradosso di svuotarlo completamente, il corpo, anche a costo della vita, pur di recuperare qualcosa del proprio essere.
Si tratta per l’anoressica di sottrarre l’essere al corpo, a qualunque prezzo, anche nel paradosso di perdere tutto”.