FIBROMIALGIA: MALATTIA O CONDIZIONE?

L’approccio Psicosomatico Integrato come modalità dialogica con la complessità del dolore fibromialgico

di Michele Fortis e Maria Concetta De Giacomo

Psicologia Psicosomatica –26 – Pubblicato il 10 Gennaio 2014

(Articolo in PDF)

In seguito alla presentazione di due casi con l’interposizione di una breve disamina dello stato dell’arte sulle ipotesi eziopatogeniche, sulla diagnosi e sulla terapia medica della fibromialgia, in questo articolo si propone al lettore un confronto con il modello Psicosomatico Integrato, mostrando come lo spostamento di focus sulla posizione soggettiva del paziente necessiti l’utilizzo di un modello complesso. 

1.La fibromialgia dal punto di vista medico: il processo diagnostico

Con il termine fibromialgia si vuole indicare lo stato generalizzato di dolenzia (algia) delle strutture fibrose (ovvero i tendini e i legamenti) e dei muscoli. La fibromialgia –FM – (o sindrome fibromialgica) è una patologia le cui cause non sono ancora note. Infatti, per alcuni Autori (Clauw, 1995) non si può definire una malattia, ma un insieme di sintomi che va letto in un sistema complesso.

E’ caratterizzata da astenia e iperalgesia diffusa a livello muscolo-scheletrico ed è accompagnata da aree tensive che vengono denominate tender points, ovvero aree dolenti alla pressione (di almeno 4 Kg secondo l’American College of Rheumatology), localizzate in parti ben individuate del corpo.

fibromialgia-2E’ da precisare che il dolore è evocato esclusivamente nell’area in cui i si trovano i tender points e mai a distanza. La distribuzione di questi punti appare abbastanza ricorrente e tipica, tanto da aver ispirato dei criteri diagnostici quantitativi come il riscontro di una determinata frequenza degli stessi punti dolenti. La dolorabilità alla pressione di almeno 11 di questi 18 tender points, associata al diffuso dolore a livello muscolo-scheletrico, è il criterio distintivo della diagnosi della sindrome fibromialgica. I tender points, inoltre, si distinguono dai trigger points, che sono invece dei punti estremamente dolorosi, localizzati in un qualsiasi muscolo, i quali se non trattati (stretched) possono ridurre di molto la capacità funzionale del muscolo interessato. Quest’ultimi riguardano la miofascia, una pellicola di tessuto connettivo che avvolge il muscolo permettendogli di scivolare all’interno della fascia, che funge da contenitore. Al tatto il soggetto li avverte come piccole zone a benderella o noduli dolenti integrati nel muscolo stesso. Se si hanno punti dolenti alla pressione con dolore circoscritto siamo in presenza di tender points e di fibromialgia. Viceversa, se i punti sono spontaneamente dolenti e proiettano, se stimolati, il dolore in aree distanti, si tratta di trigger points e di dolore miofasciale. Inoltre, è importante notare che nelle sindromi miofasciali le alterazioni dello stato cognitivo-emozionale sono pressoché nulle, mentre sono spesso presenti nella FM. E’ anche possibile che in un’area tender si sviluppino uno o più trigger points, specialmente se quell’area è soggetta a microtraumi.

E’ condiviso in letteratura che non vi sia alcun esame “specifico” di laboratorio o radiologico che possa diagnosticare la fibromialgia, sebbene saltuariamente si mostrino in rialzo i markers della flogosi, ovvero alcuni dati di laboratorio che indicano la presenza di uno stato infiammatorio (come un aumento della PCR della VES e della alfa-2 proteine). I test di laboratorio possono essere però utili per escludere la presenza di altre patologie come l’ipotiroidismo, che può causare segni e sintomi simili alla fibromialgia.

La pratica clinica mostra che vi è una curiosa relazione tra la presenza di tender points (unico criterio diagnostico quantitativo per la FM) e una “attitudine alla insoddisfazione e alla sfiducia nei confronti delle cure”. In considerazione della elevata compresenza tra struttura di personalità incline al lamento con diagnosi di fibromialgia (tanto da giustificare, in parte, l’utilizzo costante di antidepressivi nell’approccio terapeutico), è studiata l’associazione tra dolore, stato infiammatorio e stato depressivo. Questo argomento meriterebbe trattazione più ampia ma ci limitiamo a osservare che, al momento, non è ancora chiaro se uno stato sub-infiammatorio produca come riflesso un metabolismo cerebrale “depressivo”, oppure se al contrario uno stato cerebrale che prelude o che chiaramente si esprime con una depressione possa attivare reazioni riflesse irritative nelle zone muscolari-articolari, e quindi i sintomi dolorosi (Hestad et al., 2009; Voinov, 2010).

Sul piano della valutazione statistica la presentazione di FM spesso si correda di altri sintomi quali:

• dolore cronico diffuso a carico di tutto il distretto corporeo (soprattutto muscoli paravertebrali e rachide in toto);

• facile affaticabilità;

• disturbi del sonno (difficoltà all’addormentamento, risveglio precoce);

• limitazione funzionale;

• molteplici disturbi somatici;

• alterazioni cognitive con deficit della memoria e dell’attenzione;

• fluttuazione del peso corporeo;

• sintomi allergici (ad esempio congestione nasale), ipersensibilità a stimoli ambientali (odori, stimoli luminosi, rumori forti) e ai farmaci;

• dolore toracico non cardiaco;

• dispepsia e colon irritabile;

• cefalea.

2. Il modello Psicosomatico Integrato: un nuovo sguardo sulla fibromialgia

Da quanto esposto in precedenza, si comprende quanto la diagnosi di FM sia estremamente labile e basata esclusivamente sul riconoscimento dei tender points associati ad una eccessiva affaticabilità, in assenza di un quadro laboratoristico alterato.

pexels-chasing-lyu-4937877Come spiegare allora la frequente osservazione, nei casi di dolore “centralizzato”, della compresenza di plurime sindromi sintomatiche (affaticamento, difficoltà mnemoniche, problematiche con il sonno, disturbi dell’umore), elevata sensibilità agli stimoli sensoriali (luce, rumori, odori, sensazioni a carico degli organi interni) e forte ricorrenza nella storia famigliare di dolori cronici?

Dall’altra parte, l’osservazione della compresenza di sintomi sul versante psicologico e il difficile inquadramento fisiopatologico dei sintomi somatici producono generalmente l’equivoco della psicogenicità della FM. Questa ambiguità risulta problematica poi sul piano del trattamento in quanto il soggetto, spostato dal piano del dolore fisico a quello delle interpretazioni psichiche, si trova al cospetto di strumenti inutilizzabili. La correlazione fra FM e Disturbo Post-Traumatico da Stress (in Appendice), ad esempio, rende evidente come anche il soggetto riviva a livello biologico, oltre che psicologico, il proprio trauma – peraltro non cancellabile attraverso l’utilizzo di psicofarmaci, né di un’interpretazione psicologica.

La situazione curiosa e ricorrente con pazienti affetti da FM è che, nonostante dai loro discorsi si possa ipotizzare una correlazione fra la loro sofferenza fisica e situazioni emotivamente stressanti, quest’ultime anche se indagate non evocano nessun ricordo. Generalmente sono riportate come coincidenze temporalmente sovrapposte ai sintomi o come “aggravi” di sofferenza cui non è possibile dedicarsi a causa del dolore fisico.

Di fronte all’emergere di piani che oltrepassano la visione puramente medica del sintomo e che non trovano corrispondenza in una lettura esclusivamente psicogenetica della FM, è necessario fare riferimento a modelli che sappiano dialogare con la complessità dei fenomeni clinici senza cadere nella scissione epistemologica di mente e corpo. Il modello Psicosomatico Integrato risponde a questa esigenza, offrendo la possibilità di individuare un logos in grado di rendere conto della costellazione di sintomi e segni manifestata dal sistema-Soggetto (sS) (Nota 1) e non sovrapponibile a quella di nessun altro paziente. Il terapeuta psicosomatista abbandona l’utilizzo protocollare di procedure e ascolta che cosa ha da dire quello specifico soggetto, sia attraverso la parola che attraverso la ricostruzione di una narrativa nel corpo, per esempio seguendo le catene muscolari maggiormente implicate, le tracce lesionali o le correlazioni tra strutture somatiche, organo/viscere ed aspetti energetici, da leggere dove prendono coerenza: ora nel campo della Kinesiologia Applicata, ora dell’Osteopatia o della Medicina Tradizionale Cinese, ecc. Questo insieme di operazioni dialogiche e logiche mira a promuovere la consapevolezza (e quindi una maggiore potenzialità evolutiva) del soggetto rispetto alla sua condizione, limitando l’azione del terapeuta alle grammatiche più consone in una determinata finestra temporale. Infatti, attraverso la specificità della risposta agli stimoli, sarà possibile per il sistema-Soggetto comprendere la modalità con cui stabilisce un rapporto con l’ambiente in cui è fisicamente e psichicamente immerso, imparando a regolare la sua reazione.

Ora, utilizzando una prospettiva somatologica, esporremo il trattamento di due casi clinici con diagnosi di FM, cercando di mostrare quali sono i principi che, partendo dai sintomi come elementi diagnostici, aprono a un discorso di cui i sintomi stessi divengono i costituenti narrativi. Vedremo come il fulcro di tale discorso è la particolare condizione che il soggetto intrattiene con l’ambiente esterno e con quello interno e come, di frequente, si rivela necessario partire da un processo più articolato di ricostruzione di link somato-somatici, prima di potersi collegare alla sfera psichica.

3. La signora L. T. e le emozioni “serrate tra i denti”

pexels-anete-lusina-5723267La signora L. T. si presenta in ambulatorio, lamentando di soffrire da anni di dolori in zona para-scapolare, lombare e alla radice degli arti (in particolare nell’area sottoclavicolare anteriore bilaterale), e chiedendo all’algologo di eliminare il problema. Le zone dolenti appaiono ben delimitate, anche se la loro attivazione algica è incostante e favorita dall’esercizio fisico. Negli ultimi mesi le valutazioni cliniche effettuate non avevano messo in luce danni anatomici e la compresenza di astenia e bassa tolleranza allo sforzo, aveva prodotto una diagnosi reumatologica di probabile fibromialgia. Consapevole del ruolo riconosciuto anche dalla comunità scientifica agli eventi traumatici e ad altri fattori che eccedono il piano puramente neurologico, e data l’assenza di reperti strumentali chiarificatori, il clinico decide di dedicare più tempo all’approfondimento anamnestico. La signora ricostruisce di essere sempre stata particolarmente soggetta a dolori al rachide e a tutta l’area toracica, ma che ultimamente (negli ultimi 2 anni) ha sviluppato maggiore dorsalgia espressamente in punti medioscapolari, in particolare in seguito ad esercizi di potenziamento con estensione del rachide, iniziati per un infortunio all’anca. Dall’indagine posturale emerge un blocco della sincondrosi sacro-iliaca dx (controlaterale all’anca infortunata) e una rigidità, in lieve flessione anteriore, dei muscoli del collo, con un punto tender localizzato su una contrattura persistente del trapezio superiore sin. Un dato molto evidente è la dolorabilità alla palpazione dei muscoli masseteri (bilateralmente). La signora LT riferisce, infatti, di essere in trattamento con un bite per ridurre gli spasmi di contrattura della muscolatura masticatoria, che si presentano durante tutte le notti da circa 4 anni. In particolare quest’ultimo dato, rilevato sul corpo durante l’esame obiettivo, le permette di ricollegarsi ad un periodo emotivamente intenso nel quale non solo si è presentato il bruxismo, ma si sono anche acuiti i dolori. Quell’anno si verificò un ricovero d’urgenza di un famigliare che, peraltro, le fu comunicato nottetempo e dopo che lei aveva rimandato una visita al parente stesso, la cui malattia non sembrava così importante. Più avanti, parlando di sé, definisce un’irrequietezza di fondo che riconduce alla sensazione che qualcosa di grave possa accadere e che lei non abbia gli strumenti per fronteggiarlo. Da un lato, quindi, va emergendo nella storia clinica un quadro di insufficiente elaborazione di un evento traumatico coinvolgente una possibile corresponsabilità, e di uno stato simile ad una sindrome post-traumatica da stress che si esprime nell’iperattivazione notturna del sistema ortosimpatico (con tensione della muscolatura masticatoria continua). Da un altro lato non si può sottostimare lo squilibrio posturale che riconosce un sistema di compensazioni crociate (ginocchio sinistro, sacro-iliaca dx, spalla sinistra) capace di generare tensioni muscolari, che si esercitano in particolare su alcuni distretti muscolari implicati nel mantenimento dei compensi stessi. La tensione mandibolare e di tutto il sistema stomatognatico potrebbe implicare un’esacerbazione notturna e mattutina dei sintomi dolorosi.

Risulta dunque evidente come l’approccio Psicosomatico Integrato non intenda escludere le considerazioni cliniche di ordine medico per spostarsi completamente su un piano prettamente psicologico: il solo salto nello psichico non potrebbe curare la paziente se le disfunzioni posturali non venissero approcciate con le opportune tecniche manuali di correzione. Solo l’osservazione della funzione di scaricamento tensivo meccanico della mandibola, anziché di articolazione a scopo elaborativo del problema emotivo, ha offerto lo spazio per aprire il campo alle emozioni, che sarebbero altrimenti rimaste “serrate tra i denti”.

La situazione con cui la signora LT si presenta all’attenzione medica potrebbe tranquillamente rientrare in quei quadri clinici che portarono, negli anni ’70, alla definizione del concetto di alessitimia. Precursore di questo costrutto è quello che nel 1963 Marty e de M ‘Uzan definirono con il termine pensèe opèratoire: uno stile di pensiero di tipo concreto e poco incline all’attività onirica e all’introspezione. Sifneos (1977) giunge a coniare il termine di alessitimia (dal greco a = mancanza, léxis = parola, thymós = emozione) a partire dalle osservazioni compiute con Nemiah (1976) sullo stile affettivo e cognitivo dei pazienti che presentavano malattie psicosomatiche classiche (ulcera gastroduodenale, artrite reumatoide, patologie tiroidee, asma, colite ulcerosa, dermatiti di origine sconosciuta e ipertensione arteriosa). Da ciò non deriva che l’interesse del modello Psicosomatico Integrato (Scognamiglio RM, 2005/b pp. 73-79.) sia quello di leggere qualsiasi manifestazione corporea come un processo di somatizzazione o di conversione isterica, né tanto meno di inserire, nel caso del presente articolo, la fibromialgia nella serie appena descritta delle classiche 7 malattie psicosomatiche. «La somatologia non esclude a priori la possibilità di una efficacia della psicanalisi, nei casi in cui il soggetto presenti una solida rete di links fra psiche e soma.  Questa eventualità, tuttavia, si configura come solo uno dei possibili linguaggi per dialogare con il paziente, nell’ottica di una genesi multifattoriale del sintomo, che necessita di un sistema non-lineare di lettura dello stesso, di una “funzione interpretante” (Peirce, 1931-1958) che esprime innanzitutto la presenza di un soggetto» (Scognamiglio, 2005/a).

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Nel caso della signora L. T., ad esempio, è stato possibile effettuare un collegamento fra sintomi somatici e vissuti psichici non soltanto attraverso l’applicazione non-protocollare di tecniche di manipolazione volte a detendere i muscoli masticatori ipertonici, ma soprattutto attraverso la ricostruzione di una logica in grado di articolare i vari elementi secondo una narrativa. Il clinico, in questo caso, ha utilizzato alcune delle molte grammatiche attraverso cui il corpo “parla”, collegandole fra loro per comprendere le relazioni fra gli elementi non verbali che ne costituivano il linguaggio. In che modo sarebbe stato possibile “far parlare” una scapola, o una mandibola, se non attraverso una serie di traduzioni successive fra codici? Le relazioni fra le tensioni stomatognatiche e la dorsalgia si sono generate a causa delle ripercussioni tensive a livello delle catene muscolari dorsali; la traduzione di un’emozione (in questo caso un vissuto complesso di lutto non elaborato) in una tensione mandibolare risponde ad una logica di risposta di stress. Gli squilibri posturali, invece, sono generati non soltanto dall’incidente all’anca, ma si configurano come effetti iatrogeni degli esercizi di potenziamento, volti alla riabilitazione da questo incidente. Notiamo come la complessità del sintomo sia in questo caso la risultante dell’interazione non solo di una serie di eventi di diverso genere (un trauma emotivo, un trauma fisico all’anca), né soltanto delle ripercussioni da essi derivanti (la tensione alla mandibola, i collegamenti fra le catene muscolari), ma dall’applicazione di trattamenti effettuati da differenti terapeuti (facciamo riferimento al bite e al potenziamento del rachide; l’interpretazione psicologica, fortunatamente, è avvenuta in un contesto in grado di tradurre codici appartenenti a più piani), che utilizzano linguaggi non traducibili l’uno nell’altro, comportando così una tendenza ad isolare i singoli elementi fra loro anziché collegarli. All’opposto, il modello Psicosomatico Integrato ha permesso un’articolazione di un discorso che parli non il linguaggio di una singola tecnica, bensì il logos del sistema-Soggetto, adottando le tecniche di volta in volta più adatte all’instaurarsi di una dialettica con il terapeuta.

4. Un caso di confusione somato-psichica

Questo secondo caso clinico vuole mostrare l’articolazione tra differenti piani del malessere e la “porta d’accesso” tra essi e, inoltre, come uno stesso quadro sintomatologico possa condurre a processi diagnostici e terapeutici molto diversi fra loro.

Dopo due esperienze brevi di psicoterapia, M. N., giovane donna da poco sposata, ha potuto mettere a fuoco la natura di momenti di grave smarrimento e profonda paura che sono stati definiti e trattati come attacchi di panico. La paziente si rivolge al terapeuta per dolori al collo, al petto, alla schiena, in punti ricorrenti e identificabili accompagnati, da mesi, a una profonda stanchezza e ad episodi di nausea, ad essa correlata per intensità. La sig.ra M.N. nei due primi incontri cerca una soluzione possibilmente rapida ai disturbi che la affliggono sul versante somatico, investendo sul medico in quanto specialista nella terapia del dolore ed “esperto” in terapie non convenzionali.

pexels-tima-miroshnichenko-6608258La paziente, infatti, detesta assumere farmaci, sentendosi da essi profondamente inquinata e riferendo di non poter tollerare i presunti effetti della chimica sul suo corpo. Chiede quindi di poter stare meglio per vivere un’esistenza “normale”, dato che questi disturbi, proprio come per gli attacchi di panico portati in psicoterapia, per quanto la paziente sia in grado di riconoscere in anticipo gli elementi scatenanti, le impediscono una vita sociale e soprattutto costituiscono una limitazione alla propria autonomia. Nelle prime sedute emerge tutta la lontananza che M. N. ha mantenuto rispetto alle emozioni che il malessere, che vive quando si trova da sola, le procura e come quest’ultimo la invada dall’interno, facendole avvertire dei segnali indifferenziati dai propri visceri (ovvero percezioni che sfuggono a una connotazione riconoscibile e per questo angoscianti). Le terapie psicologiche l’avevano aiutata a riconoscere in anticipo gli attacchi e a evitare strategicamente le situazioni scatenanti. Per lei però non vi era nessuna differenza tra l’essere invasa dalle emozioni sconosciute e dalle sostanze esogene, da cui il tentativo da parte sua di ripararsi dall’ingresso nel suo corpo di eventuali elementi sconosciuti: che il corpo parlasse una sua lingua non era previsto. Il corpo alla signora diceva solo “dolore” e i medici avevano risposto “fibromialgia”. Durante l’esame fisico abbiamo subito notato come alcuni adeguamenti posturali riducevano la dolorabilità di molti dei punti dolorosi. La postura era in chiusura su un perno che abbiamo rintracciato in epigastrio (parte centrale superiore dell’addome), dove una palpazione profonda portava ad evocare dolore nella regione dello stomaco. A tal proposito è interessante notare che, in Medicina Tradizionale Cinese, lo Stomaco (non soltanto in quanto viscere, ma in quanto funzione) riguarda propriamente l’ingresso nel corpo di nutrimento, che può essere costituito da cibo, emozioni, aria, ecc. Oltre al parallelismo accennato in precedenza fra il sentirsi invasa da emozioni come da sostanze sconosciute, grazie all’identificazione del punto epigastrio, la paziente diviene in grado di raccontare di aver assunto l’abitudine di mangiare piccolissimi pasti in continuazione nel tentativo di compensare e contrastare la sensazione di debolezza – e, probabilmente, di controllare e di regolare ciò che entra nel suo corpo. Questo comportamento era associato a un’iperattenzione alle sensazioni di vuoto gastrico che dovevano, secondo lei, essere prevenute per evitare il peggio. Tali sensazioni, descritte come una sorta di sgradevolezza avvertita a livello del mesogastrio, avevano indotto un ripiegamento anteriore che, anche se poco evidente esternamente, si mostrava con l’ipertonia di alcuni muscoli del torace, dell’addome e del collo. L’ipertonia viene messa in evidenza attraverso strumenti di natura Kinesiologica (1991). Se in psicosomatica classica si tenderebbe, nell’ipotesi di correlare il dolore fisico a stati psicologici – come del resto fanno i medici che somministrano un antidepressivo al paziente con FM, o lo inviano dallo psichiatra a spiegare il sintomo attraverso un’interpretazione (di cui il paziente, quand’anche fosse corretta, non avrebbe gli strumenti per capirne i nessi) – nel modello Psicosomatico Integrato si utilizzano, in situazioni in cui non è possibile operare alcun link sul piano della parola, metodiche di dialogo con il corpo. Una di queste metodiche è il test muscolare kinesiologico (Nota 2), che talvolta può essere utilizzato per indagare la presenza di elementi stressogeni (fra i quali, ad esempio, potrebbe emergere un’emozione), in grado di aprire un dialogo con il paziente a livello somatico e psicologico, creando un ponte fra le risposte del suo corpo e i suoi ricordi rimossi. pexels-ivan-bertolazzi-2681319La correzione dell’ipertonia mediante stimolazione di punti neurolinfatici e neurovascolari (Nota 3), e la ricostruzione del fatto che la sensazione di vuoto allo stomaco li riattivavano, ha permesso ad M. N. di imparare alcune strategie corporee per controllare il dolore. La paziente, in questo modo, ha incominciato ad articolare una differenziazione tra gli stimoli gastrici relativi a fenomeni di ipoglicemia (fame) e la debolezza (“il corpo che se ne va”) connessa con il vuoto percepito all’interno, in modo pervasivo, in alcuni momenti della giornata. I trattamenti successivi hanno proseguito su questa linea della correzione al momento delle ipertonie dolorose e delle ipotonie funzionali del muscolo, con le tecniche di volta in volta più idonee alle risposte fornite dal corpo nel test kinesiologico, e poi con la “messa alla prova” della correzione effettuata, evocando l’emozione connessa con le sensazioni che la paziente riportava.

Come risulta immediatamente evidente, nonostante in entrambi i casi clinici siamo in presenza di un’ipotesi diagnostica identica dal punto di vista medico, le catene causali riportate in questo caso non sono minimamente riconducibili a quelle del caso precedente. Appare invece evidente come, in entrambe le situazioni, emerga una logica complessa, non ricostruibile attraverso una catena causale lineare. E’ possibile identificare, nella signora MN, un certo grado di confusione somato-psichica (Nota 4) nei confronti di ciò che proviene dall’esterno, che la sola psicoterapia non è stata in grado di individuare, dal momento che essa era così ben incastonata nel suo stomaco, e protetta dall’ipertonia muscolare. In questo caso, d’altro canto, anche la somministrazione di un farmaco non avrebbe potuto funzionare, non soltanto a causa di una farmacoresistenza del dolore fisico, ma anche perché la tematica intorno alla quale si organizza il sintomo riguarda proprio l’ingresso di qualsiasi elemento all’interno del sistema-Soggetto.

Considerazioni conclusive. L’inghippo epistemologico dell’intraducibilità fra codici: che cosa sono i “sintomi psicosomatici”?

Dai casi presentati emerge che una così articolata serie di passaggi, nel momento in cui si giunge all’insight corporeo o psichico del paziente, è sicuramente fondamentale affinché egli possa riappropriarsi della sua condizione. Tale modalità di approccio terapeutico, però, si rivela altrettanto fondamentale per uscire dall’inghippo epistemologico in cui si collocano domande quali “ma si tratta di un disturbo psicosomatico?” oppure “si tratta di un meccanismo di difesa della psiche?”, che, oltre a rischiare di esautorare il paziente persino delle proprie sensazioni fisiche, costituiscono un equivoco, sia perché presuppongono l’esistenza di sintomi non-psicosomatici, sia perché attribuiscono alla mente un fenomeno che si colloca nel corpo. Non ha senso scegliere su quale dei due versanti attestarsi – quello psichico o quello somatico; ha ancora meno senso compiere la leggerezza di interpretare là dove altri non hanno dato spiegazioni (nel tentativo di sgominare il male), dal momento che questo non permette non soltanto al paziente, ma neppure al singolo terapeuta – né tantomeno alla comunità scientifica – di comprendere i principi su cui una tale interpretazione si fonda. Al contrario, un modello clinico come quello Psicosomatico Integrato conferisce al terapeuta la possibilità di utilizzare differenti tipi di tecniche – e di codici attraverso cui leggere il sintomo – e permette di articolare i passaggi attraverso i differenti piani del sistema-Soggetto (energetico, psichico, organico) in maniera comprensibile a chiunque – a patto che il paziente sia disponibile ad un cambio di campo. Si tratta, attraverso i linguaggi accessibili al paziente in quel momento, di ricominciare a costruire una logica degli accadimenti sintomatici che riconsiderino anche il dolore un segno da interpretare. Il complesso lavoro della clinica psicosomatica integrata sarà poi quello di cogliere le opportunità (per esempio attraverso il test kinesiologico o attraverso la lettura della metafora che lega vari aspetti del sintomo) e di fare sì che il Soggetto si senta nel suo corpo “abitato” anche da emozioni e modi di pensarlo.

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In definitiva riteniamo opportuno condensare un’ultima riflessione sul rapporto tra FM, stati psichici e farmaci. La prescrizione di psicofarmaci pretenderebbe di curare la struttura psichica con il principio di riequilibrare una problematica neurologica alla base del disturbo stesso, che si configurerebbe come comorbilità al dolore. Di solito la storia di questi pazienti prosegue a lungo con il persistere nel “girare” da un ambulatorio all’altro convinti di trovare una cura che magicamente faccia sparire il dolore, che ovviamente non viene trovata. Purtroppo queste persone sofferenti vengono assecondate, e il messaggio che rischia di arrivare loro è quello di essere portatori di una malattia rara e incomprensibile alla scienza medica. Indagare invece quali siano le implicazioni soggettive della propria posizione di malato, e quindi anche della natura del dolore, necessiterebbe l’impiego di strumenti comunicativi e di tempi che il Sistema Sanitario Nazionale di solito non ha a disposizione. L’unica risposta fornita sul piano della psiche è, eventualmente, un invio dallo psichiatra (o al limite dallo psicologo), che nella stragrande maggioranza dei casi il soggetto non accetta poiché non si sente incluso nel problema emotivo-relazionale o esistenziale. Ciò accade perché egli porta al medico un problema che viene sentito nel corpo, che andrebbe però accolto con l’adozione di un approccio e la conoscenza di tecniche che permettano la ricostruzione di una narrativa ove il paziente si possa sentire incluso, dal momento che si tratta della sua storia personale – sia essa l’emergere di una catena logica di eventi lesivi e di reazioni biochimiche, o una reattività, o un adattamento ad una storia traumatica.

Il grosso limite della cultura dell’invio giace proprio nelle difficoltà del soggetto di riconoscersi come implicato in un campo dove non ha sentito di recarsi. Il modello Psicosomatico Integrato preferisce invece indagare la complessità senza predefinizioni logiche e attraverso strumenti di dialogo che rendano accessibili anche al paziente stesso le relazioni intercciate tra i differenti piani del suo essere malato.

APPENDICE

Una revisione sull’attuale stato dell’arte dal punto di vista medico

1. Diagnosi differenziale

Esistono condizioni cliniche che possono entrare in diagnosi differenziale con la FM, come la Sindrome di Sjögren, che si distinguono per la presenza di specifici esami di laboratorio (sierologia) positivi.

Per quanto riguarda invece i disturbi somatoformi, se si applica alla lettera quanto stabilito nel 1990 dall’American College of Reumathology, solo una microscopica percentuale di persone è affetta da fibromialgia, la maggior parte in realtà soffre di uno o più disturbi somatoformi, ma non è affatto facile distinguerli. I “somatoformi” includono sette disturbi in cui la caratteristica determinante è una lamentela fisica o una preoccupazione somatica che non è meglio attribuibile ad una condizione medica generale o ad un altro disturbo mentale. Ci si riferisce dunque a quei disturbi che presentano manifestazioni fisiche come i disturbi organici, pur derivando in realtà da cause psichiche. Questi possono essere riferiti a qualsiasi organo o apparato: a volte possono essere descritti in modo specifico (ad es. dolore acuto al cuore, bruciore durante la minzione, cefalea); altre volte possono essere vaghi (sensazione di nausea, pesantezza all’addome, dolori diffusi). Si tratta di disturbi dal difficile inquadramento diagnostico, in quanto compromettono addirittura il funzionamento di un organo, senza che possa essere accertata alcuna patologia con le metodiche di indagine strumentale. Un’altra caratteristica dei disturbi somatoformi è che si modificano nel tempo o vengono descritti via via in modo diverso dal paziente.

L’esame obiettivo (ovvero l’esame condotto dal medico attraverso l’uso dei cinque sensi) rimane l’esame più valido dove attraverso la pressione dei punti chiave, si comprende la presenza della malattia. Altri esami vengono utilizzati soltanto per escludere altre malattie di cui si presume l’esistenza (tra cui anche, appunto, gli esami bioumorali).

2. Ipotesi eziologiche

Uno degli orientamenti attuali è quello di considerare la FM una forma particolare di “centralizzazione” dei sintomi, ovvero una condizione di cronicizzazione basata sull’alterazione della neurotrasmissione centrale, cioè in assenza di destrutturazioni periferiche (Sommer et al., 2008) . Non vi è, in realtà, unanimità in relazione a questo aspetto, sebbene si supponga che, da un punto di vista fisiopatologico, in presenza di una iniziale serie di lesioni periferiche, si verifichi un’alterazione persistente delle modalità e forse delle strutture della trasmissione del dolore, a livello del sistema nervoso centrale (midollo spinale e cervello). Secondo un approccio più personologico, invece, sarebbe proprio una certa disposizione alla vulnerabilità del sistema nervoso centrale, che non struttura nella sua evoluzione sufficienti sistemi tampone, a creare il “terreno” affinché stimoli, che per la maggior parte delle persone sono banali, possano essere decodificati come di intensità intollerabile e cronicizzarsi con un processo di “centralizzazione”.

Negli ultimi anni la ricerca medica sta lavorando attorno all’ipotesi del danno strutturale neurologico. Nell’ambito del 14° IASP – World Congress of Pain del 2012, un’intera sessione dei lavori è stata dedicata al problema della FM. In questo contesto,  si  è ricordato   che in letteratura (Giesecke J et al., 2004) è anche sostenuto la stretta similitudine tra i dati neurofisiologici rilevati nella FM e quelli della Neuropatia della Piccole Fibre (ovvero le fibre C). Recenti studi tedeschi identificano l’origine patogenetica invece nei tessuti delle zone periferiche: stimoli reiterati o continui potrebbero instaurare una disregolazione centrale in cui appare implicata una ridotta stimolazione discendente antinocicettiva (dal grigio periacqueduttale), che risente di fattori psicologici. Non sembra peraltro che esista una etiologia specifica di questi stimoli, cioè non sembra che sia il microtrauma ripetuto su un’articolazione, piuttosto che uno stiramento muscolare, o ancora un’infiammazione cronica a provocare selettivamente, rispetto agli altri, la disregolazione centrale. Nella disregolazione centrale sembra implicato soprattutto un mediatore come la serotonina. Nella FM, però, non è implicata soltanto la serotonina, ma almeno altri 5 neurotrasmettitori dovrebbero trovarsi sbilanciati in relazione all’ipotizzato esaurimento funzionale. Precisiamo che il fatto che i neurotrasmettitori possano essere sbilanciati è una deduzione clinica, poiché non esiste un esame per definire un neurotrasmettitore come sbilanciato, in quanto non è possibile misurare queste molecole a livello cerebrale. L’unica misurazione che è stato possibile effettuare è a livello del liquido cefalo-rachidiano. Essa ha mostrato, in studi recenti eseguiti su soggetti con diagnosi di FM, che neurotrasmettitori capaci di incrementare la trasmissione del dolore (come la sostanza P, il glutammato e l’NGF) avevano livelli doppi o tripli rispetto a quelli dei soggetti di controllo, mentre molecole capaci normalmente di inibire la trasmissione del dolore (noradrenalina, serotonina, GABA) sono risultate con concentrazioni più basse rispetto ai controlli. E’ però da notare, a tal proposito, che secondo alcuni studi i livelli cefalorachidiani di endorfine non sono in realtà inferiori alla norma, e ciò sarebbe confermato da esami di neuroimaging. In entrambi i casi, i livelli di oppioidi endogeni risulterebbe adeguatamente superiore rispetto alla baseline, il che si pone in contrasto con l’ipotesi della mancata azione antinocicettiva a livello centrale. (Clauw, 2012). Contestualmente anche il sistema endocrino e quello immunitario vengono progressivamente interessati dal malfunzionamento di cui sopra. Secondo recenti studi (Bennett, 2005; Gerwin, 2005) si tratterebbe quindi di una “malattia” caratterizzata da una sensibilizzazione centrale del midollo spinale e del sistema nervoso centrale. Questa sensibilizzazione potrebbe verificarsi perché alcune citochine infiammatorie scatenano un fattore chiamato INOS (inducible nitric oxide synthase) nei muscoli, che provoca una stimolazione eccessiva dei recettori del dolore ed un aumento dei fattori ossidanti e radicali liberi. Le forme di fibromialgia si associano pertanto in genere ad uno stato sub-infiammatorio generalizzato anche in assenza di un quadro laboratoristico tipico.

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3. Ipotesi di correlazione con patologie psichiche

In un lavoro del 2010, Haviland mette in relazione, in modo assai interessante, la FM alla Sindrome post-traumatica da stress, mostrando che l’analisi multimodale dei dati ha evidenziato come due tipi di esperienza traumatica siano associati in misura statisticamente significativa alla diagnosi di FM: l’abuso sessuale e, in secondo luogo, l’aggressione fisica.

Gli Autori precisano che l’evento traumatico non provoca FM sulla base di una correlazione clinica diretta: e avallano l’ipotesi, formulata da altri ricercatori, secondo cui un trauma o uno stress intenso e prolungato modificherebbero i circuiti cerebrali che modulano le emozioni e la percezione del dolore (Wood, 2008) – il che spiegherebbe l’iperreattività dei/delle pazienti agli stimoli algici e le comorbilità osservate.

Ciò di cui gli Autori non parlano, tuttavia, è il ruolo giocato dall’infiammazione nella patogenesi traumatica della fibromialgia. Quando una persona viene colpita da un grave trauma di natura fisica o sessuale, infatti, tende a sviluppare una condizione patologica nota come “sindrome post-traumatica da stress” (Emad, 2008). Una delle caratteristiche della sindrome è che, negli incubi notturni che rievocano l’evento, la persona rivive a livello biologico tutte le emozioni negative che l’hanno contraddistinta, e riattiva tutta la risposta neurovegetativa provocata dal pericolo corso, con il suo drammatico carico di paura e di angoscia di morte. L’attivazione del sistema di allarme determina un picco di valore negli ormoni dello stress (adrenalina e cortisolo), nella pressione arteriosa, nella tensione muscolare e – fatto particolarmente importante – nelle citochine pro-infiammatorie. Il ripetersi di queste rievocazioni comporta quindi un’infiammazione (Nota 5) cronica del sistema muscolare (Dombernowsky et al., 2008), astenia, disturbi del sonno e dell’umore, dolore spesso localizzato in punti che possono essere letti come accumulatori di stress muscolare e fasciale. In questa logica anche la fibromialgia potrebbe quindi essere letta come epifenomeno somatico di una sofferenza sistemica dovuta a traumi pregressi.

E’ interessante infine osservare come questo quadro clinico, determinato dall’attivazione prolungata del sistema biologico di allarme, possa emergere anche dopo gravi incidenti o malattie, il che, da un lato, amplia lo spettro dei fattori predisponenti alla FM e, dall’altro, porta ad escludere che fra traumi sessuali/fisici e FM sussista una relazione biunivoca.

Le osservazioni cliniche conducono poi al riscontro che esisterebbe un fenotipo predisposto a sviluppare il dolore centralizzato, che ha le seguenti caratteristiche:

  • Più frequente nel sesso femminile
  • Presenza di Life events traumatici precoci
  • Storia famigliare di dolore cronico e disturbi dell’umore
  • Storia personale di sintomi cronici a mediazione centrale (affaticamento, disturbi del sonno, distress psicologico, dolore multifocale con caratteristiche neuropatiche difficoltà mnesiche
  • Percezione catastrofica (tendenza cioè ad amplificare la drammaticità degli eventi e dei cambiamenti ed a viverli come pervasivi)
  • Bassa soglia di dolore da pressione, bassa risposta agli analgesici.
  • Un trattamento complesso e completo dovrebbe quindi, secondo il modello medico, comprendere anche la presa in carico di queste componenti (eccetto il genere ovviamente) in termini di “comorbilità”.

4. I rimedi

Sul versante dei rimedi, in campo medico, sebbene con sensibili differenze tra le priorità, si considera comunemente un approccio terapeutico multifattoriale basato sulla giustapposizione di somministrazione farmacologica, esercizio fisico guidato, terapia manuale e agopuntura. Si sono avvicendati sostenitori dello yoga, del training autogeno, del pilates, di vari metodi di ginnastica terapeutica; peraltro non sembra esistere una categoria di esercizi più efficace di altri. E’ da precisare che tale modello terapeutico differisce nettamente dal modello Psicosomatico Integrato in quanto basato su una concezione etiologica oggettivista, che ricerca dunque un protocollo standardizzato della cura, non potendo in tal modo interrogare la posizione soggettiva del paziente.

In assenza di criteri di efficacia standardizzabili la ricerca fornisce attualmente solo dei suggerimenti che propongono dei possibili interventi; l’idea di fondo è comunque quella di cercare una tecnica o una sinergia di azioni farmacologiche di per sé valide rispetto alla FM.

La complessità del quadro imporrebbe quindi, almeno finora, di lasciare aperte, sul piano terapeutico, sia la valorizzazione degli interventi periferici che quelli centrali, nel rispetto della pluralità delle ipotesi.

Note

Nota 1. “La ricerca neuroscientifica dimostra […]come non esista alcuna zona d’intersezione o d’interfaccia mente-corpo poiché lo sviluppo ontogenetico determina un’interdipendenza “ontologica” di mente-corpo che, almeno per quanto riguarda la specie umana, si complessifica in variabili psicosociali precocissimamente inerenti alla costruzione stessa di un sistema multifattoriale che ho definito sistema-Soggetto (sS) (Scognamiglio, 2005b). Nell’ambito del campo epistemico della cura, si tratta di quell’insieme che assorbe le <> fenomeniche, non considerate <>, dei Modelli epistemologici medico (sΣ) e psicologico (sΨ).” (Scognamiglio, 2008, pag. 33).

Nota 2. Attraverso questa metodica, il terapeuta testa la capacità di un muscolo di adattarsi a uno stressor di tipo meccanico: si richiede al paziente di adottare la posizione di massima contrazione, ovvero di vicinanza fra origine e inserzione del muscolo, e di tenerla mentre il terapeuta applica una leggera pressione in direzione contraria, ovvero allontanando origine e inserzione. Non si tratta di un test di forza: anche un muscolo forte e ben allenato può risultare debole al test, a causa di un “sovraccarico di informazioni” stressanti a livello del SNC, in particolare del midollo spinale. Tali stimoli possono essere di varia natura: un accumulo tossinico, un certo grado di disidratazione, un’emozione, uno squilibrio energetico, una problematica organica, ecc. L’utilizzo del test come strumento per comprendere le logiche sintomatiche del paziente raggiunge alti livelli di complessità grazie alla sua integrazione con svariate discipline: posturologia, Medicina Tradizionale Cinese, nutrizione, ecc., nonché alle possibilità di applicazione in ambito psicologico.

Nota 3. “L’energia che governa il sistema linfatico è regolata dai cosiddetti riflessi neurolinfatici, situati soprattutto nella regione del petto e lungo la spina dorsale. Questi riflessi agiscono come “interruttori di sicurezza” che “staccano” quando il sistema è in sovraccarico.” (John F. Thie, “Manuale di cinesiologia applicata con il ‘Touch for Health’. Metodo di integrazione energetica e posturale. Edizioni di red./studio redazionale, via Volta 43, 22100 Como, 1985).

I punti neurovascolari, invece, sono dei punti craniali scoperti da T. Bennett negli anni ’30, “che di riflesso influenzavano la circolazione verso organi specifici. Nel 1966 Goodheart verificò che un blocco del recettore neurovascolare (NV) inibiva la normale risposta dell’acido lattico (che è un sottoprodotto della contrazione muscolare) che accumulandosi nel muscolo ne bloccava la risposta”. (R. M. Scognamiglio, manuale di Kinesiologia Integrata Base, 2013)

In kinesiologia, i punti NL o NV costituiscono due delle possibili correzioni dell’ipotonia muscolare, rilevabile attraverso il test muscolare kinesiologico (vedi nota 2).

Nota 4.  “La Scala di Confusione Somato-Psichica è stata creata per valutare la tendenza a vivere le emozioni prevalentemente come stimoli fisici, senza organizzarle in una gestalt che le configuri come fenomeni dotati di una tonalità affettiva.” (Scognamiglio, 2008, pag. 122). Il concetto di Confusione Somato-Psichica, però, può riguardare anche il fenomeno opposto, in cui si attribuisce alla psiche una logica propria del corpo. Per esemplificare la complessità del fenomeno: “una tachicardia suscitata da vissuti emotivi non verbalizzabili, potrebbe essere così confusa per un semplice fenomeno cardiovascolare, scatenando a sua volta un attacco di panico, che può rapidamente innescare circoli viziosi di carattere iatrogeno, se non riconosciuta nella sua complessità narrativa” (Scognamiglio, 2008, pag. 122).  Il caso clinico in esame costituisce una esemplificazione della necessità di seguire, in certe circostanze, una sequenza di logiche proprie del corpo, di cui una sola interpretazione a livello psicologico non renderebbe ragione.

Nota 5. La presenza di infiammazione in quadri fibromialgici o depressivi non conduce, perlomeno attualmente, ad una unanimità, all’interno del modello medico, rispetto all’efficacia della somministrazione di antinfiammatori per la cura di queste patologie. Secondo il modello Psicosomatico Integrato, è da considerare che le cause di un’infiammazione possono essere molteplici, e che sia necessario considerare caso per caso il quadro in cui essa si inserisce (come si farebbe per qualsiasi sintomo) secondo una logica che ne spieghi la complessità a livello semiotico.

Bibliografia

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* Scognamiglio RM (2008). Il male in corpo La prospettiva somatologica nella psicoterapia della sofferenza del corpo. Franco Angeli, Milano, ISBN: 978-88-464-9208-1

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Comments

3 comments on “FIBROMIALGIA: MALATTIA O CONDIZIONE?”
  1. giulia ha detto:

    Vorrei sapere se ci sono modi e metodi per poter affrontare questa malattia

    1. Dott.ssa Maria Concetta De Giacomo ha detto:

      Gentile Giulia, mi scuso per il ritardo nella risposta. L’Istituto di Psicosomatica Integrata utilizza un approccio personalizzato al paziente con fibromialgia. Uno degli scopi dell’articolo che abbiamo pubblicato è quello di descrivere l’andamento di due casi che presentavano una sintomatologia simile, ma che hanno tratto giovamento seguendo percorsi molto differenti fra loro. Nel caso in cui necessitasse di informazioni più approfondite la preghiamo di inviarci i suoi recapiti telefonici a info@somatologia.it e provvederemo a ricontattarla.
      Cordiali saluti,
      Dott.ssa Maria Concetta De Giacomo

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