L’importanza dell’alleanza terapeutica

L’influenza delle caratteristiche personali dell’operatore sull’efficacia del Trattamento Manuale Osteopatico (OMT)

di Alessandro Aloisi

Psicologia Psicosomatica –29 – Pubblicato il 30 Settembre 2015 

(Articolo in PDF)

L’interesse del Modello di Psicosomatica Integrata, in quanto modello dei codici multipli, per le terapie del corpo, è relativo all’importanza per il terapeuta di apprendere nuovi codici di comunicazione, di sintonizzazione con la soggettività del paziente, al di là di quello linguistico. In questo senso, il trattamento manuale osteopatico (OMT) rappresenta uno dei codici di particolare importanza per il somatologo, a causa dell’alta incidenza delle patologie muscoloscheletriche manifestate dagli utenti che si presentano all’attenzione del terapeuta. La ricerca qui presentata mira a comprendere la relazione che intercorre fra l’efficacia del trattamento osteopatico e alcune caratteristiche di personalità dell’osteopata, quali l’empatia e l’alessitimia.


INTRODUZIONE

Nel modello di Psicosomatica Integrata, l’OMT è una delle possibili tecniche attraverso cui entrare in relazione con il paziente. Il sintomo somatico, infatti, può esprimere qualcosa che il Soggetto (Nota 1) non è in grado di riferire a parole, ma che, al contempo, non necessariamente è da interpretarsi sul piano psicologico in quanto “prodotto della mente”. L’interesse del Modello di Psicosomatica Integrata nei confronti di modelli della cura che si occupano del corpo della persona è dunque rivolto alla possibilità, da parte dello psicosomatologo, di possedere più codici di lettura del sintomo, che facilino l’entrata in sintonia con il vissuto di sofferenza del paziente e la possibilità di comprendere la sua posizione soggettiva.

Il ruolo delle tecniche manuali, per il trattamento di questi quadri sintomatici (Andersson G.B. et al., 1999; McReynolds T. M., Sheridan B.J., 2005) è divenuto, da molti anni, oggetto di attenzione e di studio a causa dell’alta incidenza delle problematiche muscolo-scheletriche, che spesso si manifestano tramite l’insorgenza di sindromi dolorose acute, subacute oppure croniche a carico del rachide. Le ricerche condotte in questo campo hanno portato ad enfatizzare l’importanza e l’efficacia di tali approcci sebbene i risultati siano controversi, se paragonati ad altre terapie convenzionali e non convenzionali (Assendelft W.J.J. et al., 2004; Aure O.F. et al., 2003; Hurwitz E.L. et.al., 2003; Larsen K. Et al., 2002; Macfarlane G.J. et al., 2006).

1.1 OMT e problematiche muscoloscheletriche

L’elenco delle terapie alternative per il trattamento delle problematiche muscoloscheletriche è molto lungo: dal semplice intervento educativo/informativo alle tecniche che richiedono una preparazione specifica come, ad esempio, il Trattamento Manipolativo Osteopatico (OMT), ai recenti approcci multidisciplinari che si sono sviluppati a partire dall’esperienza, quasi sempre positiva, da varie scuole che si occupano delle algie spinali.

pexels-karolina-grabowska-4506113Il Trattamento Manipolativo Osteopatico si basa sui seguenti principi:

1) la concezione del corpo come unità funzionale

2) la capacità autoregolativa del corpo


3) la relazione tra struttura e funzione

4) l’assenza di lesioni anatomiche articolari e non.

Un approccio di tipo osteopatico dovrebbe, quindi, tener conto di tutti gli aspetti sopra elencati integrandoli tra di loro per ciascun soggetto che si sottopone al trattamento. Cosi facendo, s’instaura un complesso sistema relazionale tra operatore e paziente fortemente influenzato, oltre che dalla sintomatologia presentata, dal sistema di credenze personali, dall’esperienze di vita, dalle paure, dalle aspettative, dalla fiducia e dagli aspetti emozionali di entrambi, operatore e paziente. (Gallagher T. et al., 2004; Lynch D. J. et al., 2007; Dyche L. 2007). In sintesi, il trattamento osteopatico non si limita esclusivamente all’approccio manuale, che rappresenta il principale strumento tecnico dell’osteopatia, ma consiste, piuttosto, in un approccio centrato sull’individuo che ha come finalità sia di diminuire il dolore, sia di promuovere aspetti psicologici indotti dal miglioramento dello stato di salute generale del paziente. (Oron Y., Reichenberg A., 2003; Arai S., et al. 2009). La sfida affascinante che deriva da queste considerazioni è di comprendere quanto gli aspetti aspecifici come, ad esempio le caratteristiche individuali dell’operatore, svolgano un ruolo attivo all’interno del setting terapeutico e in che misura contribuiscano a modificare la qualità della vita del paziente.

1.2 Il modello Biopsicosociale

La letteratura mostra ampiamente come il trattamento intensivo multidisciplinare biopsicosociale sia in grado di ridurre il dolore e le limitazioni funzionali nei pazienti affetti da rachialgia (Guzman J. et al., 2002; Nordin M. et al., 2005). Questo modello si basa su due concetti di causalità non lineare: la causalità circolare e la causalità strutturale. Per esempio, l’ipertensione in un paziente X può essere attribuita a un insieme di fattori che si rinforzano a vicenda, circolarmente: alimentazione ricca di sodio, lavoro stressante, scarso supporto sociale e personalità iperresponsabile. L’intervento dovrebbe essere quindi progettato dal clinico tenendo presenti i fattori prevalenti o più rischiosi o maggiormente aggredibili, con la consapevolezza che il cambiamento a un certo livello determinerà cambiamenti anche sugli altri livelli.

alleanza 2Semplificando di molto, possiamo senz’altro affermare che ogni fattore ha un suo peso relativo nel determinare l’espressione clinica (criterio oggettivo) e l’esperienza individuale di malattia (criterio soggettivo) della patologia. Un’attenta valutazione di questi fattori permette di comprendere le differenze fra due individui con la stessa diagnosi medica oltre ai motivi per cui il peso esperienziale della stessa malattia possa variare nel tempo in una stessa persona. Questo concetto è fondamentale nella diagnosi psicosomatica moderna.

Queste considerazioni comportano la necessità di comprendere meglio l’importanza attribuibile a ciascuna variabile implicata nel trattamento. In particolare, le risposte a qualunque trattamento potrebbero essere imputabili, come evidenziato da McQuay e Moore (McQuay H.J., Moore R.A., 2005) nel loro studio sull’effetto placebo, a fattori definiti effetti non specifici del trattamento, come, ad esempio, la lunghezza del trial, il medico, i desideri inconsci del soggetto oltre che alla qualità della relazione tra operatore e paziente (Licciardone J.C., Russo D.P., 2006). Infatti, i moderni concetti terapeutici e riabilitativi impongono di considerare con attenzione non solo le alterazioni strutturali, ma anche il paziente affetto da dolore, includendo fattori psicologici, sociali ed ambientali e la loro relazione con il danno tissutale (Affiatati G. et al., 2000; Andersson G.B.J., McNeill T.W., 1989; Borman P. et al., 2002; McCracken L.M., Turk D.C., 2002; Mombelli F., 2000; Sherri W., Rossignol M., 2006). In questo quadro riveste un ruolo fondamentale la professionalità del medico, determinata sia da fattori personali sia da quelli sociali. Come evidenziato da West e Shanafelt, gli “elementi” cruciali della professionalità” sono da ricercare nelle caratteristiche individuali dell’operatore e, in particolare, nelle sue abilità interpersonali (West C.P., Shanafelt T.D., 2007); A questo proposito la personalità dell’operatore e in particolar modo le sue capacità empatiche e relazionali sono di primaria importanza.

L’empatia consiste nella capacità dell’operatore di relazionarsi al paziente con compassione e di immedesimarsi in esso, prendendo la sua prospettiva e divenendo sensibile alle esperienze da lui precedentemente vissute (Haslam N., 2007). Hojat M. la definisce come “un attributo cognitivo che comporta una comprensione delle esperienze, delle preoccupazioni e delle prospettive del paziente combinata alla capacità di comunicarle” (Di Lillo M. et al., 2009; Stepien K. A. et al., 2006). Molti studi in letteratura mostrano come alti livelli di empatia migliorino la qualità della relazione tra operatore e paziente (Haslam N., 2007). Inoltre, grazie alle osservazioni compiute da Nemiah e Sifneos sullo stile cognitivo e affettivo dei pazienti che presentavano malattie psicosomatiche classiche (ulcera gastroduodenale, artrite reumatoide, patologie tiroidee, asma, colite ulcerosa, dermatiti di origine sconosciuta e ipertensione arteriosa), nel 1973 fu finalmente coniato da Sifneos il termine di Alessitimia (dal greco a = mancanza, léxis = parola, thymós = emozione), ovvero emozione senza parole o mancanza di parole per le emozioni.

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L’alessitimia si manifesta nella difficoltà ad identificare e descrivere i propri sentimenti, e a distinguere gli stati emotivi dalle percezioni fisiologiche. I soggetti alessitimici hanno grandi difficoltà a individuare quali siano i motivi che li spingono a provare o esprimere le proprie emozioni, e al contempo non sono in grado d’interpretare le emozioni altrui. Mentre in letteratura esistono molti studi che valutano la correlazione tra alessitimia e disturbi psicosomatici nei pazienti, mancano totalmente studi che valutano la correlazione tra il costrutto alessitimico negli operatori sanitari e la relazione terapeutica.

1.3 Obiettivo

L’obiettivo di questa ricerca è stato quello di selezionare osteopati con caratteristiche di personalità paradigmatiche dell’operatore come il livello di empatia e di alessitimia, e valutare se queste moderino o no l’efficacia del trattamento nei pazienti da loro trattati indipendentemente dal protocollo terapeutico applicato.

MATERIALI E METODI

2.1 Popolazione

Sono stati inclusi, in questo studio, 138 pazienti di età compresa tra i 16 e gli 79 anni, di sesso maschile e femminile, che si sono presentati spontaneamente presso il Centro di Medicina Osteopatica (CMO), riferendo una problematica o una patologia in ambito muscolo-scheletrico senza presentare particolari controindicazioni al trattamento osteopatico. Sono stati invece esclusi i soggetti con diagnosi di disturbi psichiatrici e/o problematiche neurologiche centrali come Alzheimer, malattia di Parkinson, demenze gravi o condizioni in cui le capacità cognitive non permettono un’esatta valutazione complessiva (scala di valutazione e rapporto interpersonale) ed un feedback corretto relativo all’efficacia del trattamento. Gli operatori sono stati selezionati tra gli studenti tirocinanti presso la clinica osteopatica, frequentanti il 5° anno (diurno e lavoratori), di sesso maschile e femminile di età tra 22 e 50 anni .

2.2 Schema dello studio

Lo studio è stato svolto presso il “Centro di Medicina Osteopatica” dell’Istituto Superiore di Osteopatia sito in via G. Capelli 12 a Milano. I pazienti arruolati sono stati randomizzati per riferirli ai diversi operatori; in seguito, i pazienti sono stati sottoposti ad una prima visita finalizzata ad inquadrare la problematica specifica del paziente ed il livello di dolore associato. Ai pazienti è stato chiesto di compilare la scala di valutazione del dolore (NRS). Successivamente, i pazienti sono stati sottoposto ad un ciclo di 5 sedute di manipolazioni osteopatiche specifiche per la problematica presentata. I pazienti che hanno interrotto anticipatamente il ciclo di trattamenti, sono stati esclusi dallo studio.

Agli studenti tirocinanti è stato somministrato un questionario finalizzato alla raccolta di alcune informazioni quali l’età, il corso frequentato e la loro percezione della relazione con ogni singolo paziente. Per la valutazione della capacità in ambito relazionale sono stati somministrati due questionari: la Jefferson Scale per valutare il loro grado di empatia e la Toronto Alexithymia Scale a 20 item (TAS 20) (Bagby, R.M. et al.) per valutare il loro grado di alessitimia.

2.3 Metodi di valutazione

Sono stati utilizzati tre diversi metodi di valutazione. Il primo è la NRS (Numeric Rating Scale) per la valutazione dell’intensità del dolore. La NRS si basa sull’utilizzo di una scala costituita da 11 gradi (0-10) dove lo 0 indica la totale assenza di dolore e 10 il peggior dolore immaginabile dal paziente. Si chiede quindi al paziente di assegnare al suo dolore un punteggio di intensità che vada da 0 a 10. Il secondo strumento utilizzato al fine di valutare il grado di empatia dell’operatore è la versione italiana della Jefferson Scale of Physician Empathy (JSPE). Il questionario JSE comprende 20 affermazioni; per ognuna il partecipante è invitato ad esprimerne il grado di accordo secondo una scala Likert a 7 punti
(1 = completamente in disaccordo,
7 = pienamente d’accordo). I punteggi della JSPE variano da 20 a 140 (maggiore è il punteggio e maggiore è il grado di empatia). Infine, per valutare il grado di alessitimia dell’operatore si è utilizzata la Toronto Alexithymia Scale a 20 item (TAS 20). La TAS 20 è lo strumento attualmente più utilizzato in ambito internazionale per la misurazione dell’Alessitimia. Si tratta di una scala composta da 20 item alle quali il partecipante deve esprimere il grado di accordo secondo una scala Likert a 5 punti (1=completamente in disaccordo, 5=pienamente d’accordo) che articola la definizione del costrutto alessitimico nelle seguenti dimensioni: 1. difficoltà ad identificare i sentimenti;
 2. difficoltà nel descrivere i propri sentimenti agli altri; 3. pensiero orientato all’esterno.
Il punteggio varia da 20 a 100 dove valori ≤51 indicano l’assenza di alessitimia, valori compresi tra 52 e 60 indicano la probabile presenza di alessitimia, mentre valori ≥61 indicano la presenza di alessitimia.

2.4 Analisi dei risultati

Nelle analisi si è utilizzato il modello lineare misto a misure ripetute, che consente di inserire anche effetti random all’interno del modello. Come effetto random si sono considerati i diversi operatori, ciascuno che ha trattato più soggetti. Come effetti fissi si è inserito il tempo di rilevazione (2 tempi, effetto entro-soggetti). Inoltre sono stati inseriti come predittori prima il punteggio alla scala Jefferson e poi alla scala TAS dell’operatore valutando l’effetto dell’interazione tra questi due. Si sono inoltre inserite come covariate le variabili età (continua) e sesso (dicotomica). Come variabile dipendente si è utilizzata la scala NRS indicante la gravità di dolore percepito dal soggetto ai vari tempi. I risultati ottenuti dall’effetto tempo indicheranno una generale efficacia del trattamento sul dolore, mentre i risultati ottenuti dalla interazione indicheranno se il punteggio delle scale Jefferson e TAS dell’operatore moderino l’efficacia del trattamento.

RISULTATI

3.1 Descrizione del campione

3.1.1 Operatori

Nel seguente studio sono stati selezionati 28 studenti tirocinanti aventi età media di 28,17 ± 7,34 anni, 16 frequentanti il 5° anno diurno e 13 il 5° anno lavoratori (Fig.1)

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Tale gruppo è composto da 15 maschi e 14 femmine (Fig.2).

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Attraverso la somministrazione della JSPE, è stato valutato il loro livello di empatia, pari a 106,03 ± 12,16 (Fig.3).

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Inoltre, attraverso la somministrazione della TAS 20 è stato valutato il loro grado di alessitimia pari a 56,90 ± 9,25 (Fig.4).

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Come si può notare dal grafico (Fig.5) 10 operatori (35,71%) hanno ottenuto un punteggio ≥61 (alessitimia conclamata), 9 operatori (32,14%) un punteggio compreso tra 51-60 (probabile presenza di alessitimia) e 9 operatori (32,14%) un punteggio ≤51 (assenza di alessitimia).

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3.1.2 Pazienti

Sono stati ammessi 138 pazienti con un’età media pari 42,79 ± 17,24, di cui 45 maschi e 93 femmine che si sono rivolti al centro di ricerca osteopatico per differenti problematiche muscolo-scheletriche. L’età, il sesso e le problematiche presentate sono riassunte nella seguente tabella (Tab.1).

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3.2 Descrizione dei Dati

3.2.1 Confronto dei valori medi di dolore nei tempi da T0 a T4

Nel corso della prima visita (T0), i pazienti hanno riferito un livello medio di dolore pari a 6,83 ± 1,76. Le medie dei punteggi ottenuti nei vari tempi sono riassunte nella tabella 2 (Tab. 2).

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Come mostrato nel grafico (Fig.5) l’effetto tempo è risultato significativo (p<0,001), indicando un miglioramento medio dei soggetti tra prima dell’inizio (T0) e alla fine del ciclo di quattro sedute (T4).

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3.2.2 Interazione tra valori della JSPE e la riduzione del dolore

L’interazione Jefferson X Tempo (Tab.4) sono risultati invece non significativa (p>0,05), non mostrando evidenza di un ruolo dei livelli di empatia dell’osteopata sull’efficacia del trattamento.

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3.2.3 Interazione tra valori della TAS e la riduzione del dolore

Come si può osservare nella tabella (Tab.5) anche l’interazione TAS X Tempo non sono risultati significativi (p>0,05), non mostrando evidenza di un ruolo dei livelli di alessitimia dell’osteopata sull’efficacia del trattamento.

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DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

Lo scopo di questo studio era di valutare l’influenza di alcune caratteristiche di personalità come l’empatia e l’alessitimia dell’operatore sull’efficacia dell’OMT allo scopo di valutare gli aspetti aspecifici del trattamento. Il primo dato degno di nota che emerge dalle analisi effettuate è l’alta significatività nella diminuzione del dolore riferito dal paziente nel corso del trattamento (p<0,001) tra T0 e T4, confermando quanto emerso dagli studi condotti da Licciardone et al., McReynolds e Sheridan, e Clark et al. (McReynolds T.M., Sheridan B.J., 2005; Licciardone J.C. et al., 2008; Clark B.C. et al., 2009; Licciardone J.C. et al., 2004). Infatti, anche questi autori, nei loro studi hanno riscontrato un’effettiva efficacia del trattamento osteopatico in termini di riduzione del dolore nelle patologie muscolo-scheletriche. Tuttavia, contrariamente a quanto ipotizzato inizialmente, dai dati raccolti e dalle analisi svolte non emerge una correlazione statisticamente significativa tra le caratteristiche personali considerate (empatia e alessitimia) degli operatori e la riduzione della sintomatologia algica riscontrata. Questi risultati sembrano in contrasto con quelli presenti in letteratura che sostengono invece l’importanza, in modo particolare dell’empatia nella relazione terapeutica tra medico e paziente (West C.P., Shanafelt T.D., 2007; Haslam N., 2007). A questo proposito non va trascurato il contesto all’interno del quale si è svolto lo studio. Il campione degli operatori, infatti, è composto interamente da osteopati in formazione anche se di età differenti e si è svolto all’interno della sede di tirocinio. Il contesto valutante insito in un percorso formativo potrebbe aver condizionato gli operatori amplificando l’effetto della desiderabilità sociale delle risposte date. Questo effetto si è evidenziato in modo particolare nella fase di somministrazione dei questionari durante la quale molti operatori hanno manifestato la loro preoccupazione sull’utilizzo finale dei dati raccolti. A sostegno di questa ipotesi 2 operatori che erano stati selezionati per lo studio si sono rifiutati di compilare i questionari. Inoltre, analizzando i punteggi della JSPE si osservano punteggi molto simili tra gli operatori e in generale molto elevati (μ= 106,03 ± 12,16) rendendo difficoltoso il confronto tra operatori empatici e non empatici in relazione all’efficacia del trattamento. Un altro aspetto non trascurabile per l’interpretazione dei risultati è quello relativo alla somministrazione della NRS. Per motivi di fattibilità la scala relativa al dolore è stata somministrata direttamente dall’operatore aumentando, in questo modo, il rischio di ottenere risposte condizionate dalle aspettative di miglioramento implicite dell’operatore percepite dal paziente. Per quanto riguarda le analisi effettuate sulla TAS invece è interessante notare l’alta incidenza di alessitimia nella popolazione esaminata. Infatti, il 35,17% degli operatori ha ottenuto punteggi superiori a 61 che rappresenta il cut-off per porre diagnosi di alessitimia conclamata, il 32,14% ha ottenuto punteggi compresi tra 52-60 che indicano la probabile presenza di alessitimia e 32,14% ha ottenuto punteggi inferiori a 52 che indicano invece l’assenza di alessitimia. I punteggi ottenuti dalla somministrazione della TAS risultano estremamente elevati (μ= 56,90 ± 9,25) rispetto a quanto emerge in letteratura. In uno studio condotto da Onor et. al. su un campione non clinico, ad esempio, sono emersi livelli di alessitimia pari a 21,90 (1,97) in una popolazione di età media di 27,3 (2,1)(Onor M. et al., 2010). Rispetto all’empatia che sembra essere una caratteristica incrementabile tramite una formazione psicologica adeguata del medico (West C.P., Shanafelt T.D), l’alessitimia risulta essere un costrutto molto più strutturato e meno modificabile. Come già descritto precedentemente l’alessitimia si manifesta nella difficoltà di identificare e descrivere i propri sentimenti, e a distinguere gli stati emotivi dalle percezioni fisiologiche. pexels-alexander-krivitskiy-1156546I soggetti alessitimici hanno grandi difficoltà a individuare quali siano i motivi che li spingono a provare o esprimere le proprie emozioni, e al contempo non sono in grado d’interpretare le emozioni altrui. In genere le persone alessitimiche sembrano ben adattate da un punto di vista sociale nonostante manchi loro la capacità entrare in contatto con la propria realtà psichica rendendo il loro buon adattamento sociale solo apparente. Quest’aspetto potrebbe nuovamente spiegare i punteggi elevati ottenuti nella somministrazione della JSPE. In ogni caso potrebbe essere interessante approfondire con ulteriori studi le caratteristiche epidemiologiche del costrutto alessitimico tra gli operatori della salute in generale. Tuttavia, tornando allo scopo della presente ricerca, dalle analisi effettuate come per l’empatia, non emerge una correlazione statisticamente significativa tra il grado di alessitimia e l’efficacia del trattamento osteopatico (p>0,05). Va comunque precisato che, anche se non significativo, emerge un trend di correlazione positiva tra alessitimia e riduzione del dolore (p=0,095). Sembrerebbe che più il soggetto è alessitimico e maggiore è l’efficacia del trattamento. Questo aspetto potrebbe essere spiegato col fatto che i soggetti alessitimici prediligono il codice corporeo (Nota 2) come forma di espressione della propria soggettività piuttosto che quello simbolico-verbale come ampiamente illustrato precedentemente. I dati raccolti non sono, tuttavia sufficienti a sostenere questa ipotesi rendendo necessari ulteriori studi con campioni più ampi e con operatori con più anni di esperienza. In conclusione, da questo studio non emergono delle correlazioni significative tra le caratteristiche di personalità dell’operatore esaminate e l’efficacia del trattamento. Bisogna comunque precisare che i costrutti psicologici esaminati rappresentano solamente degli aspetti parziali in una relazione cosi complessa come quella tra medico e paziente. In futuro potrebbe essere interessante valutare altre caratteristiche come l’assertività del medico ma anche le caratteristiche specifiche del paziente come l’aspettativa e la percezione del paziente rispetto al medico. Inoltre, potrebbe essere interessante eseguire un altro studio utilizzando un gruppo di controllo che viene sottoposto esclusivamente ad un training psicologico con finalità psicoeducative per la gestione del dolore.


NOTE

Nota 1 Il termine Soggetto è qui utilizzato secondo l’accezione lacaniana, in cui il Soggetto è il prodotto dell’incontro con l’Altro. L’ulteriore elaborazione di Riccardo Marco Scognamiglio nel Modello di Psicosomatica Integrata è quella di concepire un sistema multifattoriale, da egli definito “sistema-Soggetto”, in grado di assorbire “le “eccedenze” fenomeniche, non considerate “significanti”, dei Modelli epistemologici medico (sΣ) e psicologico (sΨ)”. Come dire che ciò che del Soggetto è frutto dell’incontro con l’Altro non è soltanto la psychè: l’impatto si colloca anche nel corpo, senza che il Soggetto sia necessariamente in grado di dirne qualcosa. (Scognamiglio R.M., 2008, pag. 33)

Nota 2 Il Modello di Psicosomatica Integrata è un “modello operativo di codice multiplo”, in cui “interagiamo col sistema-Soggetto attraverso fondamentalmente due tipi di linguaggio:

Il codice analogico: seriale/sintagmatico, diacronico, referenziale/connotativo, surdeterminato: si fonda sui processi di condensazione e spostamento come metafora e metonimia. Appartengono ad esso rappresentazioni e significanti linguistici. E’ supporto fondamentale della funzione narrativa;

Il codice digitale, binario, puntuale (on/off), sincronico, non referenziale, denotativo. E’ il modo in cui il corpo parla sotto forma di switch “nel corpo stesso” e non “attraverso” la parola del paziente.”. (Scognamiglio R.M., 2008, pag. 182)

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